Dopo due stagioni fortemente condizionate dalla pandemia che ci ha impedito in concomitanza con le classiche di primavera un contatto diretto con ciclisti e addetti ai lavori, alla vigilia della Liegi-Bastogne-Liegi abbiamo avuto l’occasione di consegnare il Trofeo Cyclissime – sponsored by Mühle Glashütte - al vincitore dell’edizione 2019 Jakob Fuglsang. Con lui abbiamo scambiato due parole sulla stagione che lo attende e sui cambiamenti a cui il ciclismo ha assistito.
Ciao Jakob: dopo 9 stagioni in maglia Astana quest’anno sei partito con una nuova avventura che ti vede difendere i colori della Israel Premier Tech. Lo scorso autunno notizie di ciclomercato associavano il tuo nome anche al Team Quick Step e Cofidis. Cosa ti ha spinto alla fine a scegliere il Team Israel?
«Ci sono più motivi che mi hanno spinto verso questa scelta. Uno di questi è sicuramente dovuto all’ingresso dello sponsor Premier Tech nel Team Israel. Con il presidente di Premier Tech, Jean Bélanger, avevo già prima un buon rapporto e dopo i primi contatti ho parlato con il management della Israel e ho avuto subito l’impressione che il modo in cui lavorano faceva per me. Ora sono felice nel nuovo team, siamo una squadra giovane, si lavora bene e c’è una bella atmosfera».
Dopo un 2019 ad altissimo livello che ti ha visto vincere alla Liegi e cogliere altri piazzamenti importanti, nel 2020 hai aggiunto un’altra classica monumento, il Lombardia. Quali sono secondo te i motivi che ti hanno portato a raggiungere i tuoi risultati migliori a 34 anni?
«Ci sono più elementi che hanno contribuito a questo. L’esperienza gioca senz’altro il suo ruolo e poi ci sono tanti dettagli nella preparazione, dall’allenamento all‘ alimentazione. Poi per vincere queste corse è fondamentale partire da capitano così come ho fatto nel 2019 e 2020. In passato ho corso anche a supporto di altri compagni quindi è più difficile ottenere il risultato».
Lo scorso anno la caduta al Benelux Tour ha interrotto prematuramente la tua stagione, come hai ripreso la preparazione dopo l’infortunio e come l’hai impostata?
«La preparazione era partita molto bene e anche alle prime corse, mi riferisco alla Valenciana, mi sentivo molto bene e poi ho preso il covid che ha compromesso il tutto. Ripartendo, avevo giorni in cui mi sentivo bene ed altri meno. Non sono stato costretto fermarmi ma sentivo di non essere pronto per le corse».
Come è la tua condizione attuale e che sensazioni hai?
«Sento che migliora di giorno in giorno, certo se potessi decidere avrei spostato la Liegi un mese in avanti. All’Amstel mi sentivo bene e anche alla Freccia, dove ho lavorato per Michael Woods».
Quali sono gli obiettivi per la stagione 2022?
«Da martedì correrò al Romandia e poi mi rivedrete alle corse a giugno al Giro di Svizzera per rifinire la preparazione in ottica Tour de France. Al Tour non punterò alla classifica generale, preferisco una vittoria di tappa ad un piazzamento nei dieci. In passato l’ho sfiorata più volte e quest’anno voglio finalmente coronare questo sogno».
Con che squadra partirete per il Tour e con quali obiettivi?
«Abbiamo già parlato con la squadra riguardo ai compagni che saranno al via al Tour. Non è di certo un segreto se vi dico che uno di questi sarà Michael Woods. Lo scorso anno ha indossato la maglia a pois, quest’anno ci riproverà, come squadra andremo a caccia di successi di giornata senza puntare troppo sulla classifica generale».
Cosa è cambiato nel ciclismo rispetto al tuo debutto tra i professionisti?
«È cambiato tutto. La ricerca scientifica si è evoluta, lo sport è più organizzato e vengono curati tutti i dettagli. Ogni team ha più preparatori, viene curata l’alimentazione, siamo affiancati da nutrizionisti e anche i materiali sono migliorati. Inoltre, la stagione si è allungata. Prima si staccava e si riprendeva lentamente, oggi bisogna arrivare con una buona condizione già alle prime gare altrimenti sei sempre in fondo al gruppo. Nel complesso è uno sport più duro che richiede sempre maggiore professionalità».
Per i ragazzi che arrivano adesso al ciclismo si prospetta quindi una carriera più logorante?
«Sì, magari mi sbaglio ma secondo me i giovani di adesso non arriveranno a 42 anni come Valverde. Staremo a vedere, senza dubbio il ciclismo oggi richiede maggior concentrazione ed impegno e questo si farà sentire».
Cosa pensi dei giovani ventenni che arrivano al ciclismo e ottengono subito risultati?
«Sono ragazzi che vanno molto forte ma anche in passato abbiamo avuto ciclisti che già da giovani andavano fortissimo, basti pensare ad Andy Schleck o Damiano Cunego. Ma una cosa certamente è cambiata: i ragazzi giovani non devono fare la gavetta vengono messi nelle condizioni per fare subito risultato. Hanno sin da subito uno staff di professionisti, dal preparatore al nutrizionista, a loro completa disposizione. Quando ho iniziato io bisognava guadagnarsi la fiducia un po’ alla volta, era davvero diverso».