Per diventare dei campioni nel ciclismo bisogna seguire delle tappe precise e certe vittorie devono esseee costruite partendo da lontano. Questa è la filosofia che ha seguito da sempre Matej Mohoric, il campione sloveno convinto di non essere dotato geneticamente come i suoi connazionali Primož Roglic o Tadej Pogacar e che quindi, come lui stesso ha detto, ogni vittoria è costretto a inseguirla lavorando sui dettagli. Il capolavoro della sua carriera, fino ad ora..., è stata la Milano-Sanremo, vinta con un attacco a sorpresa lungo la discesa del Poggio che faceva parte di un piano ben preciso.
«Io non sono forte come Tadej o Primož, per vincere devo cercare di sorprendere i miei avversari; naturalmente è molto più difficile perché devo stare molto attento a tutti i dettagli, cercando poi di non commettere errori».
Di errori Matej a Sanremo non ne ha commessi, ha saputo aspettare scegliendo il momento giusto in una gara sempre difficile da interpretare e pronosticare. Le discese difficili sono la sua specialità, ma sa anche cogliere successi sulle lunghe distanze e la Classicissima di Primavera è stato il connubio perfetto di queste caratteristiche.
«Ero molto concentrato, nel finale c’è stato qualche problema, ma alla fine sono riuscito a controllare ogni cosa. Ho sbandato prima quando ho preso un tombino, ho sbagliato l’ultima curva in discesa ma con il dropper sono riuscito a salvare la traiettoria, poi all’ultima curva per entrare in Via Roma mi è caduta la catena perché ho sbagliato il rapporto, ma non ho mai perso la lucidità e così ho realizzato questo sogno incredibile».
Il campione nazionale sloveno in quegli ultimi interminabili chilometri che lo separavano dalla vittoria ha corso senza mai girarsi, perché sapeva che quello avrebbe potuto rivelarsi un errore fatale. Ma proprio in una via Roma gremita di gente, Matej ha avuto la conferma che cercava, ha conquistato la vittoria perfetta.
«Ho spinto più forte che potevo per rientrare in gruppo e ci sono riuscito. Lo so che guido bene la bici, l’ho imparato quando facevo fuori strada. Correndo con gli amici con la bici in montagna, ho imparato a fare molto bene le curve e le discese ed è per questo che alla Sanremo ho potuto fare la differenza. L’arrivo è stato spettacolare, bellissimo, con tantissima gente sulle strade: grazie a tutti quelli che sono venuti a vederci, insomma abbiamo vissuto davvero una grande giornata».
La conferenza prima e la festa con i compagni di squadra dopo. Nel parcheggio di Sanremo alle spalle del traguardo era rimasto solo il pullman della Bahrein Victoriuos ad attendere il vincitore di giornata. Sceso dall’ammiraglia il primo saluto è stato con i meccanici e i massaggiatori, mentre i compagni di squadra lo attendevano tutti sul bus per un grande abbraccio.
«È stato tutto bellissimo e perfetto e finita la premiazione l’unica cosa che volevo era andare dai miei compagni, per abbracciarli e ringraziarli per quella giornata così bella».
In quella folle discesa verso Sanremo, non è passato inosservato un particolare della bici dello sloveno: il dropper ovvero il reggisella telescopico.
«L’avevo testato già in cima al Poggio e avevamo visto che mi permetteva di avere una guida della bici più aggressiva. Penso che una volta provato, potremo vederlo con molta più frequenza anche sulle bici di altri corridori, perché fa molta differenza sia in allenamento che in gara. È un vantaggio che altri non avevano in gara e che io ho potuto sfruttarlo grazie gli amici della FSA che hanno realizzato un prodotto perfetto».
Matej corre e vince e nel gruppo in qualche modo è anche un animatore. Prima che la Classicissima entrasse nel vivo, aveva prima chiacchierato con Pogacar che poi ha sferrato i suoi attacchi micidiali e poi rivolgendosi a Davide Formolo gli aveva chiesto se a Sanremo ci fosse un ospedale.
«È vero, bisogna divertirsi anche un po’ in corsa e così ridevo con Tadej e Formolo perché siamo buoni amici, e ho chiesto se ci fosse stato l’ospedale prima di prendere la discesa, ma non voleva essere provocatorio...».
Tra i professionisti Matej Mohoric ha 16 ottenuto vittorie, la maggior parte di queste è arrivata su una distanza sempre vicina o superiore ai 200 km, dimostrazione di resistenza, coraggio e capacità impressionanti. Lui è uno di quei corridori capaci di vincere non solo con la forza, ma anche grazie al suo temperamento e alla sua intelligenza, che lo hanno portato a conquistare gare in modo unico. Il successo nella Sanremo ha portato la terza Classica Monumento per la Slovenia. E con quella vittoria Matej è all’ottavo posto della classifica mondiale: Primož Roglic o Tadej Pogacar sono lontani, ma lui è felice e vuole continuare a divertirsi in Belgio.
«Quando si tratta di esplosività, non ho possibilità contro Van Aert e Van der Poel. Dovrò giocare bene le mie carte - ha detto lo sloveno appena arrivato nelle Fiandre, dove ha colto il quarto posto ad Harelbeke e il nono nella Gand-Wevelgem, suoi primi appuntamenti -. Non sono certamente un super esperto, ma mi sento come a casa in queste gare. Per correre su queste strade e fare risultato devi essere sempre ben posizionato e risparmiare energie, io posso riuscirci anche se mi manca solo un po’ di esplosività. In una certa misura ce l’ho, ma non come Wout o Mathieu. In uno sprint non ho alcuna possibilità contro di loro, quindi prima devo giocare le mie carte senza sbagliare».
Ma il discorso torna sempre al capolavoro della discesa del Poggio e all’abilità dimostrata nel guidare la bicicletta: «Qualcuno mi ha chiesto se sciavo e se nelle discese con gli sci ho imparato quello che so fare in bici: in realtà so sciare un po’ come tutti gli sloveni, ma la scuola migliore è stata quella dei boschi, quando da ragazzini ci lanciavamo veloci in discesa».
Matej è un corridore che non solo si diverte a canticchiare la colonna sonora dei film di James Bond quando è in gruppo, ma sa molte cose e ama impararne sempre di nuove tanto da essersi meritato il soprannome di Matej-pedia.
«È il soprannome che mi ha dato Wout Poels qualche tempo fa. Voglio sempre sapere tutto: sul materiale, ma anche sull’universo o cose del genere, sono uno che ha bisogno di conoscere i fatti. Poi quando nel gruppo qualcuno fa una domanda, tutti dicono: chiedi a Matej-pedia. Lo saprà».
Anche Mohoric, così come tutta la Bahrain Victorious, è passato dalla gioia della vittoria alla disperazione più profonda per quello che è accaduto ma Sonny Colbrelli.
«È stato un colpo, per tutti quanti. Non perché abbiamo perso un grande corridore per le Classiche, ma perché la sua vita era in gioco. Corro con Sonny dal 2018, lo conosco molto bene. Quando succede qualcosa del genere, tutta la prospettiva cambia improvvisamente. Ora spetta ai medici dargli le risposte che chiede, ma se gareggerà di nuovo o meno per me è di secondaria importanza. La corsa è importante, ma non quanto la vita».
E sull’incidente del bresciano aggiunge: «Sembrava davvero una brutta situazione, ma presto - dopo circa un’ora, direi - abbiamo capito che il peggio era mai alle spalle. Gli ho persino parlato quella notte: stava bene, non era nemmeno sotto shock o qualcosa del genere. Semplicemente Sonny non ricordava niente. Pensavo di trovarlo terrorizzato dopo aver vissuto quell’esperienza, ma Colbrelli non ha paura. Era meno scioccato lui del resto della squadra».
da tuttoBICI di aprile