Gian Paolo Ormezzano, 86 anni portati bene e con orgoglio, chiamato dagli amici “Gipiò”, è un grande giornalista che scrive tra l’altro su questa testata praticamente dalla sua nascita, addì 1° maggio 1995. Nella sua ricca e variegata carriera professionale è stato tra l’altro direttore di Tuttosport, editorialista su La Stampa e Famiglia Cristiana, commentatore televisivo e autore di alcuni pregevoli libri, soprattutto di calcio. Ora, quasi a compendio della sua vulcanica cavalcata giornalistico-sportiva, ci propone questo “Io c’ero davvero, reportage da due virus: il Covid e il giornalismo”, l’ultima fatica da “sopravvissuto” al Covid, a cinque ricoveri ospedalieri (anche in terapia intensiva) e a una prognosi “del genere scientifico-gufesco”, come dice lui stesso nella prefazione del suo libro. Nel quale c’è davvero di tutto e tantissimo Gipiò, naturalmente molto ciclismo mischiato a tanto calcio, all’atletica e ad altri sport olimpici. Perché Ormezzano, tra un Giro d’Italia e un Tour de France, ha seguito da inviato ben 25 edizioni dei Giochi Olimpici, tra estive e invernali, forse un record mondiale del giornalismo sportivo e non.
L’ultima sua fatica letteraria è stata presentata l’altro pomeriggio al Circolo della Stampa di Torino, la città dove Ormezzano è nato il 17 settembre 1935, vive tuttora e ha lavorato fin da quando, appena diplomatosi al Liceo Classico Cavour e avviatosi agli studi universitari di Giurisprudenza (“mai finiti”, precisa), cominciò la sua avventura giornalistica a Tuttosport. Grazie alla presentazione del giornalista e critico letterario Bruno Quaranta e dell’ex vicedirettore di Tuttosport Gianni Romeo (poi responsabile del settore Sport a La Stampa e apprezzato suiveur di Giri e Tour ciclistici), con “Io c’ero davvero, reportage da due virus: il Covid e il giornalismo” è venuto fuori anche il policromo personaggio Ormezzano, campione assoluto di giornalismo ma anche di aneddotica e di barzellette. Tutto il libro di Gipiò è vivace, elastico e godibilissimo, come del resto i suoi articoli, ma merita un’attenzione particolare il modo - ricordato durante la presentazione dallo stesso autore – in cui Ormezzano conquistò sul campo i galloni del giornalista professionista. E si tratta naturalmente di un episodio che riguarda il ciclismo.
Era il pomeriggio del 1° gennaio 1960 e il futuro Gipiò stazionava nella redazione di Tuttosport, in verità piuttosto sguarnita visto il giorno di Capodanno e “divisa fra giornalisti che avevano fatto mattina folleggiando nel celebre veglione, detto appunto dei giornalisti, nel bel Teatro Carignano di Torino, meta mondana a inviti assai ambita, e giornalisti ‘altri’, fra i quali io, insomma i giovani di studio, non ammessi al veglione perché non ancora in regola con l’iscrizione all’Ordine, per la semplice ragione che il giornale non li aveva ancora assunti (abusivi, eravamo detti, ora si dice precari)”. Ormezzano nel libro parla più volte di “revolving doors”, porte girevoli, per sottolineare come spesso sia la sorte a decidere il destino degli uomini. Così quando Mario Mogni, allora corrispondente da Tortona di Tuttosport, segnalò che Fausto Coppi quel giorno era stato ricoverato d’urgenza all’ospedale della sua città, “la redazione anziana a sbadigliosa puntò su di me: ero pimpante, avevo fatto un po’ di ciclismo fino al 1959, ero coppiano, scrivevo con fantasia e dunque qualcosa avrei imbastito, specialmente se, come si pensava, quel Coppi habitué degli ospedali magari aveva solo un raffreddore”.
Purtroppo, come si sa, le cose andarono assai diversamente e il giorno dopo Fausto Coppi, l’Airone della bicicletta, chiuse per sempre le ali, portato via da una malaria non diagnosticata. Nel libro di Ormezzano c’è naturalmente tutta la terribile storia di Coppi e anche la sua personale di giovane giornalista alle primissime armi che proprio da quella tragedia, e in quella tragedia, seppe trasmettere sentimenti, suggestioni e immagini che permisero ai lettori di Tuttosport, come a pochi altri, di vivere la fine struggente di Fausto e valsero all’inviato improvvisato l’apprezzamento di Antonio Ghirelli, allora direttore del quotidiano sportivo torinese: “Bel servizio, bravo - gli scrisse con una lettera il numero uno di Tuttosport -, anche se hai scritto che Coppi è morto da superuomo quando invece gli ultimi superuomini, i nazisti, per fortuna sono finiti sotto i cingoli dei carri armati americani”.
“Revolving doors”, dice Ormezzano. E le porte girevoli gli furono ancora favorevoli quando pochi giorni dopo, passeggiando davanti all’ufficio del direttore, il nostro giovane aspirante giornalista fu fermato e chiamato ancora da Ghirelli: aveva appena finito una telefonata con il Coni di Roma che offriva il biglietto aereo gratuito a un giornalista di Tuttosport per le Olimpiadi Invernali di Squaw Valley, negli Stati Uniti, in programma qualche settimana più tardi, il 18 febbraio 1960. “Ecco, ho deciso, ci sarà Ormezzano” aveva risposto alla cornetta Ghirelli dopo aver visto l’ardimentoso cronista passeggiare davanti alla sua porta: fu la prima delle 25 Olimpiadi seguite in carriera da Ormezzano. Naturalmente fece bene anche sotto i Cinque Cerchi olimpici e si conquistò così uno stage a giugno nella redazione francese del quotidiano sportivo L’Equipe, lui che tra l’altro era francofono, per tradurre - dal francese all’italiano e viceversa - gli articoli di una coppa calcistica alla quale partecipavano Francia e Italia.
Questo nuovo successo professionale consentì a Ormezzano di seguire per Tuttosport anche il Tour de France di quell’anno, vinto guarda un po’ da un italiano: Gastone Nencini. E poi - sulle ali di un nuovo entusiastico apprezzamento da parte della direzione del suo giornale - addirittura di andare come inviato ai Giochi Olimpici di Roma, dove tra l’altro fu cantore - oltreché autista, sulla sua Fiat 500 - dell’immenso Livio Berruti, torinese come Ormezzano e di lui compagno anni prima al liceo classico Cavour. Ma questa è un’altra delle tantissime storie proposte da “Io c’ero davvero, reportage da due virus: il Covid e il giornalismo”, che potrete gustare personalmente e che non vi anticipiamo. Un libro ricchissimo e scoppiettante, proprio come l’inimitabile Gipiò.