Sono giornate tricolori, meravigliose giornate che improvvisamente riportano tanta Italia nel Giro d'Italia, a Bagno di Romagna il capolavoro di Vendrame, subito dopo a Verona quello di Nizzolo, alla sua prima vittoria rosa, dopo un quintale e mezzo di piazzamenti.
E' tutto così eccitante, per noi, ma nessuno può fare finta di ignorare che manca qualcosa, meglio, qualcuno: proprio il portabandiera.
Spiace sempre, spiace davvero fare il Processo alla tappa di Elia Viviani, ma visto che quelli preposti alla trasmissione nemmeno si sognano, tutti presi a spalmare miele a destra e a sinistra, mi prendo l'ingrato compito e procedo, consapevole di non fare certo un favore all'imputato e ai tanti suoi amorevoli difensori, primo fra tutti il diesse Roberto Damiani e subito a ruota il direttore fan Pier Augusto Stagi.
Nonostante tutto, non si può tacere, proprio no. Non siamo qui per distribuire caramelle, siamo qui per cercare qualche spiegazione ed esprimere qualche giudizio spassionato. A Verona, nella sua città, è il momento di una doverosa imputazione: Viviani iscritto nel registro degli indagati, con regolare avviso di garanzia.
Va bene l'immane soddisfazione per essere stato scelto come portabandiera alle prossime Olimpiadi, ma resta il fatto che per Viviani non è ancora l'ora di appagarsi con le cariche simboliche e onorifiche. Quelle sono un di più, un riconoscimento al suo passato e al suo modo di essere. Ma a 32 anni Elia non può essere considerato un campione onorario, prima ancora non deve considerarsi tale lui per primo. Non può e non deve vivere già di passato, avrebbe ancora un presente da spremere.
I suoi tifosi, tutti noi, lo aspettavano proprio a Verona, la sua città, per festeggiare finalmente il giorno della riscossa. Diciamolo onestamente, c'era veramente tutto per il grande colpo: i suoi ultrà, un finale a rettilinei, la squadra che gli prepara il terreno, e in modo magari un po' carogna aggiungo che la stessa concorrenza non era da campionato del mondo.
Sì, c'era tutto, ma veramente tutto, per dire: se non ora, quando? Appunto, quando, se nonostante una tavola apparecchiata a quel modo Elia riesce ancora a restare in piedi, lasciando tutte le sedie alla concorrenza, senza nemmeno provare a prendere posto. Con un'aggravante per lui niente affatto secondaria: a vincere in casa sua è addirittura Nizzolo, uno che più di lui ne ha passate di cotte e di crude (cfr. Vendrame), ma che proprio a Verona gli dimostra come si reagisce, come si tiene duro, come si lotta fino ad abbattere il muro con la testata giusta.
Niente da fare, Viviani non pervenuto, nemmeno nella sua giornata e nella sua terra. Appuntamento mancato, ancora una volta buca a tutti. Nel modo più deludente.
Per quanto mi riguarda, lo dico da italiano, non cerchiamo di compensare o addirittura nascondere il fallimento con la poesia della bandiera olimpica. Le due cose non c'entrano nulla. Elia Viviani non è una figura iconica da portare in giro come una madonna candelora, non ancora. Alla sua età, è ancora a pieno titolo uno sprinter in piena attività. Giusto e doveroso pretendere di più, molto di più. Almeno, come primo passo, la rabbia e l'orgoglio per buttarsi ancora là in mezzo, nel furioso alveare dei finali, e provarci fino all'ultimo metro. Altrimenti è una malinconica resa. E allora l'atleta-simbolo diventa inesorabilmente un portabandiera bianca.