Dear Caleb, e per Caleb intendo Ewan, le scrivo anche se avverto nelle orecchie lo stridore insopportabile delle sue unghie che scivolano sui vetri, patetico tentativo di arrampicata miseramente fallito.
Ma dai, sia serio, davvero pensa che noi qui in Italia siamo così tordi dal poter credere alle sue scusanti? Qui da noi, restando alla pura logica, risulta che uno sprinter capace di ammazzare il gruppo a Termoli non si ritiri il giorno dopo per imprecisati problemi, a meno che non cada dalla tromba delle scale o non venga malmenato per bene da un marito geloso.
Noi qui abbiamo contemplato e applaudito la sua prova di forza, ma 24 ore dopo nessuno ci può negare il diritto di biasimarla - dicendola in parole belle – per il suo ritiro frettoloso e offensivo. Molti lo considerano offensivo perchè ancora fermi all'idea romantica dei velocisti che comunque devono onorare il Giro fino in fondo, flagellandosi imperturbabili anche sulle grandi montagne. E' un'idea molto nobile, verrebbe voglia di adottarla sempre, ma purtroppo in tanti sappiamo che il mondo non gira più così. Sappiamo cioè che ogni sprinter programma la sua stagione con precisione chirurgica, senza concessioni a tante poesie di una volta. Lei in particolare ha affrontato questo 2021 con una sfida personale molto ambiziosa, vincere tappe in tutti e tre i grandi Giri, e naturalmente tutti sono ammirati da tanto coraggio. Io faccio un passo avanti, rispetto a tanti altri, ricordando che proprio per la volata di Termoli ho speso parole incantate, senza dimenticare il suo prodigio di Cattolica. Di più: l'ho esibita come metro di paragone inarrivabile, ho esaltato con superlativi i suoi sprint, parlando di lei come di un gigante tra i nani.
Ecco, adesso che lei ha lasciato il Giro a questo modo, come minimo sono qui a dire che mi pento molto di ciò che ho scritto. Meglio: confermo l'encomio alle sue doti ciclistiche fuori dal comune, niente da rimangiarmi, ma rettifico drasticamente il giudizio sul modello. Parlandone col senno di poi, ho il dovere di dire che lei è un grande velocista, ma anche un grande cinico e un grande furbetto. La mia delusione non riguarda cioè il fatto nudo e crudo del suo ritiro, tanti velocisti ho già visto tagliare la corda dopo le vittorie previste (se non altro, ai piedi delle Alpi, comunque), ma piuttosto mi sento offeso come italiano e come appassionato per il modo, di questa fuga.
Per come la vedo io, avrei preferito che lei a Termoli dicesse chiaro e limpido qualcosa del genere, signori, devo correre anche Tour e Vuelta, voglio vincere ovunque, avendo già fatto così bene qui al Giro preferisco amministrarmi col massimo dell'attenzione ed evitarmi le fatiche delle prossime tappe. Invece no, nessuna chiarezza e nessuna lealtà: pochi chilometri all'indomani, scuse più o meno verosimili, malanni e botte messe in giro da chissà chi, e all'improvviso avvertono che Ewan non c'è più. Sparito, evaporato, dissolto nel cosmo. Senza neppure dire amen.
Dear Caleb, se lo lasci dire: non è proprio il modo. Lei è libero di muoversi (e di sparire) come crede, noi però siamo liberi di prendercela a morte. Di offenderci pesantemente, dato che lei ha offeso la nostra intelligenza. Le bugie e i sotterfugi non ce li meritiamo. Meritiamo di più e di meglio. Di più e di meglio meritano persino i suoi avversari, che lei ha irrimediabilmente sfregiato, in quanto da domani chi vincerà uno sprint dovrà pure sentirsi dire che l'ha vinto perchè mancava Ewan. E questa è veramente una carognata supplementare.
Vada, vada pure a vincere anche al Tour e alla Vuelta. Come souvenir d'Italy l'accompagna la nostra freddezza. E chissà che prima o poi non incontri qualcuno capace di spiegarle una regola elementare, ma immutabile e universale: vincere tante volate non significa automaticamente essere campioni da portare ad esempio. Serve dell'altro. Sincerità, lealtà, trasparenza. Il campione può sempre guardare il mondo dritto negli occhi, che vinca o che perda. Quando tornerà in Italia, lei dovrà abbassare lo sguardo.