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EVENEPOEL E IL RACCONTO DI SEI MESI DIFFICILI
di Francesca Monzone | 21/02/2021 | 08:32

Sono passati si mesi da quel 15 agosto del 2020 quando Remco Evenepoel cadde in un dirupo durante il Giro di Lombardia. In una video intervista concessa a Sporza il giovane belga ha voluto ripercorrere questo lungo periodo nel quale i momenti di sconforto e la solitudine non sono mancati.

In quei mesi di immobilità forzata e riflessione, Remco scrisse anche alla UCI perché vennero fatte insinuazioni sul contenuto delle sue tasche. Nelle parole del fiammingo tanti spunti di riflessione, ma anche gratitudine per chi gli è stato vicino e l’importanza di rimanere in contatto con il compagno di squadra Jakobsen, fermo in un letto come lui, dopo la terribile caduta al Tour di Polonia. Evenepoel finalmente è tornato ad allenarsi, superando anche quella battuta d’arresto di inizio anno, quando la frattura al bacino non si era completamente risaldata.

Remco è pronto a partire, ma nella sua mente adesso c’è una consapevolezza diversa, sulle sue capacità fisiche e mentali, ma c’è anche la parola fiducia, che adesso ha un significato per lui, molto più profondo.

«Sono caduto da un’altezza di 10 o 12 metri, qualche metro più in là e sarei scivolato giù per almeno 30 o 40 metri – ha detto il giovane belga -. C'erano anche massi intorno a me, posso dire di essere caduto nel migliore dei modi. Non so se dalle immagini si poteva vedere bene, ma sono caduto su un fagiano morto, che con il becco ha bucato la mia spalla».

Dopo quel 15 agosto si è parlato molto della dinamica dell’incidente di Remco, sulle sue abilità di portare la bici e se avesse osato troppo in qualche modo mentre affrontava la discesa della Colma di Sormano, dietro ad un gruppetto guidato da Vincenzo Nibali.

«Il problema era che non avevo fiducia nella ruota di chi mi stava davanti. Ero il corridore con meno esperienza, ma tutti quelli del gruppo di testa avevano già commesso un errore. Anche Nibali era quasi caduto contro un muro. Dal mio computer vedevo che ci stavamo avvicinando a quel ponte e ho iniziato a frenare, perché non mi sono fidato di chi stava davanti. Ho parlato di questo con lo psicologo».

Remco nella descrizione dei fatti è molto preciso, parla di paura, di panico e quella mancanza di fiducia nei confronti dei corridori più esperti che lo precedevano in discesa. «Ero andato nel panico e la mia attenzione non era più sulla gara ma sull'errore. E poi è andato tutto storto. Non è che non riesco a fare le discese, nella prima parte ero io in testa. Ma devo avere più fiducia nel seguire la ruota di qualcuno».

Evenepoel racconta poi le polemiche scattate su Bramati, che aveva raccolto delle cose e le aveva messe in tasca, mentre aspettava i soccorsi. «Mentre ero a terra non ho mai lasciato la mano di Geert Van Bondt e Davide Bramati ha raccolto tutte le mie cose: radio, casco e tutto le il cibo che avevo in tasca. Cosa aveva raccolto Bramati? Questo si sono chiesti in molti. Insieme ai miei genitori ho mandato una mail al presidente dell'UCI Lappartient. Per dire: è necessario questo? Ero sdraiato nel mio letto d'ospedale e poi quella storia così stupida, per mettermi in cattiva luce. Non mi sono mai scusato. E’ un peccato che i corridori e l'UCI non siano alleati. Anche adesso con quelle nuove regole sulla sicurezza. Ma ora tutto fa parte del passato».

Per un corridore non c’è solo il danno fisico dopo un incidente, ma c’è l’aspetto psicologico che incide tanto sul recupero dell’atleta e dell’uomo.

«Quando torni a casa dall’ospedale non ti senti solo, perché la tua famiglia è con te. Ma ci sono momenti in cui pensi di essere da solo, non a livello privato, ma a livello sportivo. Alla fine non è così: abbiamo i medici, i compagni di squadra, lo psicologo della squadra. Con Fabio Jakobsen ho scambiato regolarmente messaggi e poi ci siamo incoraggiati. Anche lo psicologo mi ha aiutato moltissimo. Ho anche iniziato a leggere libri per essere più forte mentalmente. Questo non è solo per lo sport, ma anche per la vita privata».

In quel dirupo Evenepoel non è caduto da solo, con lui sono finiti a terra tutti i desideri e i sogni della stagione. «Rinunciare al Giro d’Italia è stata la cosa più dolorosa per me, la perdita maggiore, non vedevo l'ora di fare il mio debutto in un grande giro. Ero davvero pronto e la mia forma era ottima. I primi giorni ho avuto difficoltà a guardare in televisione la corsa, ma dopo sono stato in grado di accettarlo. Ho pensato che avrei dovuto sostenere gli altri ragazzi. La maglia rosa era il mio grande traguardo insieme al Giro di Lombardia ed entrambi sono letteralmente caduti nel burrone con me. Avevo esplorato quella lunga cronometro e quella dura tappa fino a Piancavallo. Ho sofferto veramente tanto».

Mentre le ferite di Remco guarivano lentamente, era tanta la sofferenza che provava, per aver dovuto rinunciare al sogno di vincere la corsa rosa. Il belga non voleva venire al Giro per vincere delle tappe o per mettersi in mostra, voleva vincere la corsa italiana, dimostrando di essere uno dei corridori più forti nelle corse a tappe. «È stato un peccato vedere, ad esempio, il passaggio sullo Stelvio di Dennis che è stato il più forte. Il mio battito cardiaco era aumentato quando l'ho visto. Mi sono immaginato seduto sulla mia bici sulla strada per vincere il Giro. E’ stato un sogno per me in quell’istante, ma qualche volta i sogni possono avverarsi».

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