Martino ultimamente fa spesso un sogno. C’è lui, che in carriera ha diretto tra gli altri Marco Pantani, Stefano Garzelli, Gilberto Simoni, Damiano Cunego, Vincenzo Nibali, Fabio Aru; ci sono le grandi corse che con questi campioni è riuscito a vincere più di chiunque altro; ci siamo noi con cui parla di ciclismo, il suo più grande amore. Non ci sono mascherine né distanze a separarci, ci divertiamo a girare il mondo e, sia che si vinca o si perda, ci si può abbracciare perché il virus non c’è più. Alla trentacinquesima stagione da direttore sportivo, Giuseppe Martinelli non ha bisogno di chiudere gli occhi e immaginare di essere tornati a prima che la pandemia stravolgesse la nostra vita, per ritrovarsi al volante dell’ammiraglia Astana - Premier Tech e guidare i suoi ragazzi a caccia del decimo successo in carriera in un grande giro che rappresenterebbe la ciliegina sulla torta di una carriera unica. Il mondo non è più quello di una volta e anche questa intervista non può avvenire nella hall di un hotel in Argentina o in Australia, dove le corse di solito incominciano e invece questa volta sono state annullate, avviene in videochiamata e va bene così. Perché in fondo quello che importa sono i contenuti e ascoltare l’esperto tecnico bresciano è come sfogliare un libro che, un capitolo dopo l’altro, ti fa conoscere un mondo bellissimo. Il suo, il nostro.
Ne hai vissute di ogni nella tua carriera, ti mancava una pandemia mondiale.
«Non so come la vivano gli altri, ma io soffro tantissimo. Ho un’età (l’11 marzo spegnerà 66 candeline, ndr) per cui negli ultimi mesi ho pensato più di una volta di smettere di lavorare, ma a stare in casa senza corse mi sembra di perdermi qualcosa per strada. Durante il lockdown ho fatto fatica a non essere nel mio habitat naturale, ho capito quanto è difficile non poter muoversi e incontrarsi. Vorrei che potessimo alzarci una mattina e ritrovarci come eravamo prima. È un sogno ricorrente: immagino di ritrovarmi nel mondo che era nostro. Sono consapevole che ci sono settori che soffrono ancora più di noi, ma lo sport è in ginocchio. Sono preoccupato soprattutto per le categorie minori».
A proposito di giovani, alla tua corte quest’anno sono arrivati tre bei ragazzini...
«Non voglio dire che saranno il futuro dell’Italia, visto che ormai spendiamo queste parole per qualsiasi speranza azzurra, ma non posso negare che ho fiducia in loro. Samuele Battistella e Matteo Sobrero hanno già fatto vedere di saper essere protagonisti seppur in un’annata tribolata come è stata la loro prima tra i professionisti. Da Andrea Piccolo ci aspettiamo molto, non voglio caricarlo di troppa pressione, deve entrare in gruppo in punta di piedi e crescere senza fretta, ma nelle corse che potrà disputare ha tutto per mettersi in luce. Nel primo ritiro stagionale abbiamo notato che per tutti e tre c’è margine di miglioramento. Hanno capito che qua si va al sodo, che hanno a disposizione una struttura che non lascia nulla al caso e che vogliamo già metterli alla prova. Sobrero sta già lavorando così bene che si è conquistato un posto per la Valenciana, sulla carta all’inizio non l’aveva. Ci aspettiamo che facciano vedere quanto valgono. I test di valutazione ci hanno detto che con il giusto allenamento e la continuità di lavoro a cui verranno sottoposti da Maurizio Mazzoleni con la sua equipe di preparatori il motore, che indiscutibilmente hanno, potrà viaggiare ancora più forte».
Per il resto il roster dell’Astana non è cambiato molto dal 2020.
«Ad eccezione di Miguel Angel Lopez (accasatosi alla Movistar, ndr) il resto del gruppo è quello dell’anno scorso. Voglio una riconferma di Jakob Fuglsang nelle classiche. Nel 2019 ha vinto la Liege-Bastogne-Liege, l’anno passato ha conquistato il Lombardia e puntato a un Giro d’Italia anomalo perché disputato ad ottobre, nel 2021 vuole provare a vincere altre classiche adatte a lui per poi puntare alle tappe del Tour de France e ai Giochi Olimpici. Mi aspetto la consacrazione di Vlasov, che nonostante le mille difficoltà della passata stagione ha fatto già vedere qualcosa di importante, vincendo il Giro dell’Emilia e piazzandosi terzo alla classica delle foglie morte. Aleksandr è stato veramente penalizzato dal covid ma è comunque andato forte e ha un futuro brillante davanti a sé. Con questo talento russo di soli 24 anni che ha conquistato la maglia rosa tra gli Under 23 nel 2018, quest’anno andiamo dritti al Giro d’Italia, con una squadra forte e ambiziosa che potrà contare di sicuro su Gorka Izaguirre e Harold Tejada. Per il resto spero vivamente di tirar fuori qualcosa in chiave Italia, visto che da anni non ci riusciamo».
Cosa dire degli italiani confermati?
«Fabio Felline è un corridore che mi è sempre piaciuto, professionista al cento per cento, spero che l’aver riassaporato il gusto della vittoria al Memorial Pantani gli permetta di regalarci altre soddisfazioni in corse più importanti. Avrebbe dovuto partire con la Ruta del Sol in Spagna, di sicuro disputerà Tirreno-Adriatico e Giro d’Italia. Manuele Boaro è un uomo squadra, quando c’è da tirare la carretta c’è sempre, svolge il suo dovere e lo fa bene. Di Davide vorrei parlassero gli altri, da papà è difficile, anche in questi giorni gli ho detto: “Ho sempre goduto all’idea che tu diventassi corridore”. So che è dura essere il figlio di Martino, non gli ho reso la vita facile, anzi».
Sei uno dei tecnici più esperti e vincenti in gruppo. Cosa ti manca per chiudere il cerchio?
«Sogno di vincere ancora una grande corsa a tappe e se fosse il Giro sarebbe il massimo. Ne ho vinti 9, arrivare al decimo sarebbe incredibile, vorrebbe dire che davvero “ce l’ho fatta”. Ho avuto la fortuna di avere alle mie dipendenze tantissimi campioni, a volte è andata alla grande, altre meno, ma non rimpiango nulla. Sono felice di essere arrivato a questa età e di essere ancora in questo ambiente, che mi piace da morire. Amo questa professione e la svolgo con passione, come se fosse il primo giorno. In più di un’occasione mi hanno messo in lista per essere commissario tecnico, non è nelle mie mire, ma a chi è che non piacerebbe essere il CT della Nazionale Italiana?».
Il corridore che avresti voluto dirigere?
«Ho avuto Pantani, Contador, Garzelli, Cunego, Nibali, Aru... Ce n’è uno che ho inseguito senza riuscire ad acchiappare, Ciccone. Sono arrivato vicino a prenderlo e mi è dispiaciuto non trovare un accordo. Mi sarebbe piaciuto lavorare insieme a Giulio perché è un corridore che piace alla gente. Non so quanto riuscirà a vincere ma senz’altro darà qualcosa al ciclismo italiano perché corre in modo un po’ scriteriato ma genuino, non guarda in faccia a nessuno, non resta imbambolato davanti al computerino ma prende e va, è sincero, ci mette l’anima e a me questo è quello che piace in un atleta».
Hai attraversato diverse generazioni, ora ce n’è una che si sta affermando giovanissima.
«Personalmente ho sempre tifato per i giovani. La mia fortuna l’ho creata andandoli a scoprire. Vederli arrivare e di prepotenza come stanno facendo in questi anni mi fa gioire. C’è solo da essere felici perché significa che il ciclismo ha futuro. Dispiace un po’ per chi ha fatto la storia di questo sport negli ultimi anni e ora fatica, ma vedere ragazzi come Pogacar, Bernal, Evenepoel, van Aert, van der Poel e Hirschi, è manna dal cielo».
Cosa cambieresti del ciclismo di oggi?
«Vorrei ci fosse una squadra italiana che possa ricalcare quanto facevamo tra gli anni Ottanta e 2000 quando il ciclismo italiano era pieno di campioni e quando andavo all’estero mi dicevano “voi siete fortunati, avete 10 squadre, 150 corridori”... Ora di corridori ne abbiamo ma senza una squadra World Tour che faccia da traino è dura per tutto il movimento. Le nostre Continental e Professional svolgono un buon lavoro, ma per cambiare passo ci vorrebbe un grande team nella massima serie».
Il tuo desiderio per l’anno nuovo?
«Che l’Astana - Premier Tech sia protagonista al Giro. Ci sarà una bella concorrenza, ma con Vlasov voglio lottare alla pari con Bernal, Evenepoel, Nibali, Aru e tutti gli altri pretendenti alla maglia rosa. Sarà un bel Giro».
Quello da realizzare prima di andare in pensione?
«Faccio fatica a chiedere altro perché mi ritengo già fortunato. Ho lavorato sodo e non mi sono mai risparmiato, ma forse ho ottenuto più soddisfazioni di quelle che meritavo. Sono stato supportato da persone che ho scelto e, grazie all’impegno di ognuna, siamo arrivati lontano. Sono contento così».
da tuttoBICI di febbraio