E speriamo ci sia poi memore per certo, quel Dio che conosce il cielo e il mare, giusto a consolare Diego e Marco, e ancora più a perdonare quanto di male in terra è stato loro inflitto. E postmortem, in assenza, il che è di blasfemo inenarrabile.
Diego Maradona, per chi lo ha amato più di noi, e Marco Pantani, per noi che lo abbiamo amato di più, campioni del calcio e del ciclismo, sono state le rette parallele, a un micron - e a dieci anni anagrafici - di distanza, della immagine strepitosa dello sport e del suo precipitare immenso. Lo zenit, come fossimo in un romanzo di Emilio Salgari, e poi il Maelstrom, il gorgo, come leggessimo Conrad. La tragedia della gloria.
E nelle loro affinità elettive, di eroi popolari e generosi, il ciclista Marco aveva voluto talmente bene, in tempi non sospetti, al calciatore Diego da scrivere per lui addirittura una canzone, 'Il pibe de oro', presentata, e non accettata, al Festival di Sanremo 1997. Ed aveva voluto talmente bene, Diego a Marco, da correre in suo aiuto, in quella vacanza impropria a Cuba, primi anni 2000, quando il ciclista di Cesenatico, già in litigio con il ciclismo e le sue regole, espulso per ematocrito alto dal Giro '99, iniziò il suo viaggio di sventura, non un Tour, nelle spire della cocaina e della tossicodipendenza.
Diego e Marco, chiamateli come volete, e in qualsiasi ordine - non sono stato tifoso di Diego, riconosco -, idoli ineguagliabili dei giovani, e dei piccoli e di una fantasia sorridente, e di una big picture, Caravaggio, non Pinturicchio, quella su cui non tramonta il sole, avevano meritato ambedue già l' eterno dei premi in vita. Ben oltre, se vogliamo, a corsa finita, del Mondiale del 1986 e degli scudetti del Napoli '87 e '90, o dell' accoppiata trionfale Giro - Tour del 1998, Marco aveva infatti avuto la benedizione di Papa Wojtyla, e Diego avrebbe ricevuto parimenti l' abbraccio solidale di Papa Francesco, il pontefice argentino. Il Signore è già con loro, dunque, indulgenza plenaria.
Indossavano tanto una naturale santità non terrena e non celeste, Diego e Marco, e sembra una canzone di Lucio Dalla, e ne sono stati testimoni Ullrich e Tacconi, Matthaus e Armstrong, Marco Velo e Salvatore Bagni, non a caso, in sella a un pallone o al piede di una bici da corsa, che in tutti e due i casi, dopo tante emozioni e tanti batticuori versati come panacea sul mondo, un polline di gioia, è totalmente miserevole, inaccettabile, quanto sia stata disonorata la loro fine.
Siamo, anzi siete, qui, a numerare i figli e le mogli a giorni alterni, un errore medico, Luque come un centravanti, ed un avvocato ennesimo, giacca e cravatta, a conteggiare il patrimonio e la quadratura della stanza da bagno della casa in Argentina in cui Maradona, quello del gol all' Inghilterra, sarebbe precipitato come corpo (non ancora morto ?) cade.
E ci rivediamo il sequel tragico della fine a Pantani, Rimini, un film di Zurlini, in quel Residence Le Rose che rose più non ha, il giorno, anzi la notte di San Valentino del 2004, in un rimbalzo fra portieri di notte girati di lato, pusher e patteggiatori di talento, entraineuse destinate a migliore carriera, polvere bianca come fosse borotalco ad aspergere di silenzio passato presente e futuro.
Marco e Diego, Diego e Marco, ma dove era scritta, in quale universo sconcio, questa vostra intima fine nell'anima così dispersa, se al massimo uno stadio o un Mortirolo di ricordo vi è stato tributato? Quale disamore avete meritato? Di certo, meglio aspettarvi ancora, ad occhi socchiusi, su un ciglio assolato di strada o su una gradinata, pioveva quel novembre a Napoli, vita e ancora amore facendo. Avessimo sbagliato mondo.
da ‘ Il Mattino’ , 4 dicembre 2020