Il 19 gennaio 2010, con la maglia della Liquigas, Peter Sagan debuttava tra i professionisti in Australia, al Tour Down Under, una settimana prima di compiere vent’anni. Peter è un ragazzo di talento. È vincente e intelligente: soprattutto sensibile. Lo slovacco della Bora Hansgrohe con le sue imprese ha cambiato quella che da sempre è stata l’immagine un po’ retorica del ciclismo: sport fatto solo di fatica, sacrificio e sofferenza. Peter l’ha portata un po’ più in là, con la giusta dose di divertimento e di allegria, diventando di fatto di ispirazione per molti.
In dieci anni di carriera nella massima categoria è riuscito a stravolgere la frontiera della bicicletta fino a diventare il Peter Sagan di oggi. Nel corso della sua carriera ha vinto di tutto e di più (114 vittorie ad oggi, ndr): tre Campionati del Mondo consecutivi (Richmond 2015, Doha 2016 e Bergen 2017), il Giro delle Fiandre nel 2016, dodici tappe vinte al Tour de France e 17 al Giro di California e la Parigi-Roubaix del 2018, giusto per citarne alcune. Ma quando gli si chiede, tra tutte, quale sia stata la vittoria più bella, la risposta è inaspettata ma allo stesso tempo semplice e comprensibile: «Mio figlio Marlon, il traguardo più bello della mia vita», nato dal matrimonio nel 2015 con Katarina, ora sua ex moglie.
Lo abbiamo raggiunto telefonicamente nella sua casa del Principato di Monaco: in un freddo pomeriggio di novembre abbiamo ripercorso insieme a Peter alcune tappe della sua vita e della sua invidiabile carriera. A trent’anni compiuti e a dieci dal suo debutto tra i professionisti, Peter si racconta a tuttobiciweb con assoluta naturalezza, come è suo costume.
Peter, come stai?
«Bene grazie, dopo il Giro d’Italia sono andato in Slovacchia per tre settimane a trovare i miei parenti e da qualche giorno sono tornato a Montecarlo, a casa mia. Adesso è ora di ricominciare, bisogna iniziare a scaldare le gambe in vista della prossima stagione. Le palestre qui in Francia sono chiuse a causa delle restrizioni imposte dal governo per il Coronavirus e quindi mi attrezzerò per allenarmi qui a casa, come ho fatto anche durante il lockdown della scorsa primavera».
La squadra ha organizzato qualche ritiro prima della fine dell’anno?
«Avremmo dovuto andare in Austria dal 7 all’11 dicembre, giusto qualche giorno per stare tutti insieme in vista della prossima stagione. Dovevamo fare anche un altro ritiro sul Lago di Garda, a Peschiera, ma vista la situazione per il momento è stato annullato tutto. Forse lo faremo a gennaio, ma è ancora tutto in divenire».
A 30 anni il tuo primo Giro d’Italia. Se soddisfatto o ti saresti aspettato di più?
«Quella di quest’anno è stata una stagione molto strana ma sono felice di essere tornato, dopo molti secondi posti, ad alzare le braccia al cielo. Sono soddisfatto di quello che sono riuscito a fare, non ho rimpianti».
Ti è piaciuto il Giro?
«Molto. È stata una corsa molto bella. Secondo me in una stagione normale, e non atipica come questa, sarebbe stato ancora più bello. Rispetto al Tour de France, dove c’è sicuramente molta più tensione, il Giro d’Italia è più divertente e poi quando siamo passati in Veneto, dove ho trascorso i primi anni delle mia carriera, l’emozione è stata davvero tanta: mi sono sentito come a casa. L’Italia è davvero un bellissimo Paese».
Tornerai sulle strade rosa?
«Lo spero, ad oggi non lo so, con la squadra non abbiamo ancora deciso il programma per la prossima stagione. Una cosa però è certa: fare due Grandi Giri (Tour de France e Giro d’Italia) così vicino l’uno all’altro e in un anno come questo è stato davvero tosto. In una stagione normale invece tutto è possibile, chissà».
Hai vinto la decima tappa e a Tortoreto hai ritrovato il successo dopo 461 giorni…
«Ho fatto incetta di secondi posti, come già accennavo, e non vedevo l’ora di tornare a vincere. Vincere è come una liberazione: è stata una sensazione bellissima, non servono molte parole, era un momento atteso da tanto e finalmente il lavoro ha ripagato e mi sono sentito soddisfatto».
Dopo aver conquistato sette maglie verdi al Tour de France, quest’anno è mancata l’ottava…
«Sono consapevole del fatto che le aspettative fossero alte, tutti si attendevano da me l’ottava maglia verde. Purtroppo però non si può avere tutto, sicuramente ci riproverò. Non ho intenzione di accontentarmi, la mia voglia di vincere rimane quella di sempre».
Alcuni tuoi colleghi hanno detto che una stagione come questa per i giovani è stata più semplice da gestire. Sei d’accordo?
«Sicuramente per noi che non siamo più giovanissimi non è stata una stagione facile. Io sono passato professionista con la Liquigas nel 2010 e per dieci anni sono stato abituato ai soliti ritmi, che però non sono stati gli stessi in questa stagione. Non è stato semplice riprendere la preparazione dopo il lockdown di questa primavera ma sono comunque contento di quello che sono riuscito ad ottenere».
Hai trascorso il lockdown di primavera nella tua casa di Montecarlo, insieme a Giovanni Lombardi. Come è stata la vostra convivenza?
«Buonissima. Non potevamo fare molto perché non si poteva uscire. Fortunatamente riuscivo però a vedere mio figlio Marlon. Con il “Lomba” abbiamo fatto invece i casalinghi, tra faccende domestiche e la spesa. Ogni tanto riuscivamo a fare qualche passeggiata al parco. Durante la quarantena mi sono sempre allenato e la sera la passavamo a guardare qualche film. Ci siamo fatti molta compagnia, anche perché tra noi ormai c’è un rapporto speciale, dopo tutto quello che abbiamo vissuto durante la mia carriera. Prima di tutto Giovanni è un amico, ma anche sul lavoro ci troviamo molto bene insieme».
Un rapporto speciale ce l’hai anche con il tuo “angelo custode” Gabriele Uboldi: che rapporto hai con lui?
«Gabriele è un mio grande punto di riferimento: un amico prezioso, e una persona che stimo moltissimo».
2021 anno olimpico. Volerai a Tokyo?
«Ma è sicuro che ci siano le Olimpiadi? – si domanda Peter ridendo -. Se si faranno, ci sarò. Impossibile mancare».
Se potessi scegliere una corsa da vincere il prossimo anno, quale sceglieresti?
«Purtroppo non si può scegliere, ma ci posso provare e poi vediamo come andrà. Non avendo ancora un programma definito per il 2021 non so in quali corse sarò al via, c’è da dire che la Milano-Sanremo non l’ho mai vinta, quindi…».
Dopo aver vinto così tanto, come fai a trovare la giusta motivazione per affrontare i nuovi sacrifici che impone la vita da corridore?
«Ho scelto questo sport perché mi piace. Sono soddisfatto di quanto ho vinto fino ad oggi, ma non mi sento certamente appagato. Se sono ancora in sella alla mia bici è perché c’è ancora tanto da vincere e mi sento in grado di lottare ancora con i migliori corridori del mondo».
Nel 2010 sei passato professionista e dieci anni dopo sei un personaggio globale, da milioni di euro: com’è cambiata la tua vita?
«Non è cambiata più di tanto, devo sempre essere in forma e allenarmi. La mia vita sinceramente è cambiata tre anni fa con la nascita di mio figlio Marlon. Da quando sono papà, ho molte più responsabilità ed è questo il regalo più bello che la vita potesse riservarmi».
Che tipo di bimbo è Marlon?
«È bellissimo, ma anche tosto. Ma sai che quest’anno ha iniziato ad andare all’asilo? Per lui questa è una cosa completamente nuova, ma si sta ambientando benissimo».
L’hai già messo in bici?
«Ci si è messo lui e va già meglio di me. Pensa che io ho iniziato ad andare in bici a sei anni, lui già a due anni e mezzo andava in giro con la bici senza rotelle…».
Quante volte riesci a vederlo?
«Durante il lockdown fortunatamente sono riuscito a passare molto tempo con lui, solitamente durante la stagione non passo tanti giorni a casa tra corse e ritiri: menomale che esistono le videochiamate».
Com’è il rapporto con la tua ex moglie Katarina?
«Direi ottimo. Abbiamo un rapporto più che buono anche per il bene di nostro figlio, per farlo crescere nel migliore dei modi cercando di non fargli mancare niente».
Consiglieresti a tuo figlio la vita che stai facendo tu?
«Francamente no, gli consiglierei un altro sport. Il ciclismo è davvero uno sport troppo duro, però sarà lui a scegliere, come è giusto che sia. Se deciderà di fare il corridore, lo supporterò».
Tu sei il ciclista più pagato al mondo…
«Francamente non lo so, non conosco i contratti degli altri corridori».
Le gare che hai vinto te le ricordi tutte?
«Assolutamente no, ma se dovessi riguardare i video sono sicuro che mi tornerebbe alla mente ogni emozione».
Dei tre Mondiali vinti ce n’è uno a cui sei maggiormente legato?
«Tutti e tre sono molto importanti, ognuno ha un suo significato. Se dovessi proprio sceglierne uno però, dico il Campionato del Mondo di Bergen: è quello più speciale, che ha scritto la storia».
C’è un posto in casa in cui conservi i trofei più belli?
«Non li ho qui a Montecarlo perché non ho abbastanza spazio. Ma non posso dirti dove li conservo. È un segreto, e in quanto tale lo custodisco solo per me».
Il ciclismo è in continua evoluzione. Come pensi cambierà nei prossimi anni?
«Credo che ogni sport si stia evolvendo rispetto ad anni fa, non solo il ciclismo. Al giorno d’oggi ci sono più cose da fare. Un esempio? Negli ultimi anni è diventata importantissima anche la cura dei profili social. Prima non c’era, bastava salire in sella ad una bici e pedalare forte. Ora fare lo sportivo significa curare un insieme di cose».
Ti sei definito “ciclista non virtuale”. Ci spiegheresti meglio?
«Durante il lockdown ho visto tanti corridori fare molte ore sui rulli e partecipare anche alle corse virtuali. Quello è un gioco, non è ciclismo: quando ho voglia di giocare accendo la playstation», ride.
Chi è il tuo miglior gregario?
«Ce n’è più di uno, e ne direi addirittura quattro: Oscar Gatto, Daniel Oss, Maciej Bodnar e mio fratello Juraj».
Hai mai pensato al dopo carriera?
«È meglio non pensarci adesso, non voglio mettermi questo pensiero in testa. Come dicevo prima sto bene e ho ancora tanto da dare. Il ritiro è un pensiero che farò più avanti».
Per quanti anni ti vedi ancora in gruppo?
«Non lo so. Vivo giorno per giorno, cercando di godermi al massimo tutti i momenti e quello che ho».
Nell'ottobre 2018 è uscito il tuo primo libro “My World”. Com’è nata l’idea?
«Dopo aver vinto i tre Mondiali consecutivi, un momento certamente importante e d’ispirazione. Ho voluto scrivere il libro per lasciare un ricordo di quei tre anni, così belli, intensi ma anche molto impegnativi. È un semplice libro direi, dove racconto la mia storia».
Hai mai pensato di scriverne un altro?
«Bella domanda, non lo so, ci penserò più avanti, se avrò più tempo magari sì. Per ora non è nei miei programmi, ma chissà forse lo inserirò in quelli futuri».