Dallo scorso 11 ottobre, dopo la corsa a Montecatini Terme in Toscana, ha attaccato la bici al chiodo e ha già trovato lavoro, ma il suo obiettivo è arruolarsi nell’Esercito. Questa è la storia di Aldo Caiati, nato il 19 dicembre del 1998, una delle promesse del ciclismo giovanile bresciano, piccolo scalatore che era capace d’incantare quando la strada s’inerpicava. Aldo vive a Castegnato con papà Riccardo ex carabiniere, mamma Angela infermiera, il fratello Domenico ex ciclista amatoriale. A soli 22 anni ha deciso di cambiare tutto: adesso i pendii ripidi li affronterà nella vita. E, forgiato dal ciclismo che è fatto più di lacrime e sudore che di soddisfazioni, sta già vincendo i suoi Gran Premi della Montagna. Aldo, che ha il diploma di tecnico agrario, già lavora al magazzino Amazon di Castegnato. Ma la maglia a pois (quella del leader della montagna al Tour de France) la conquisterà a breve, quando riuscirà ad entrare nell’Esercito Italiano. Con il franciacortino abbiamo riavvolto il nastro della sua carriera e lanciato uno sguardo sul futuro lontano (ma non troppo...) dalla bici e dal ciclismo. Ne è uscita una chiacchierata mai banale, senza frasi fatte, molto profonda.
Quando hai deciso di smettere veramente?
«A settembre. Tutto nasce dal fatto che la mia idea è sempre stata una sola: dopo i quattro anni tra gli Under 23 se non fosse arrivata la chiamata da un team professionistico, mi sarei fermato. Il secondo anno è stato buono, importante, nel terzo purtroppo con la pandemia di Covid-19 e per altri motivi è andata come è andata e non sono riuscito a fare il salto di qualità. E questo 2020 non si può certo considerare una stagione normale. Tanti mi hanno detto di provarci ancora per un anno, non nego che anch’io ci ho pensato, ma non avevo più la motivazione e la grinta necessaria per andare avanti. E’ stata una mia decisione e non ho pentimenti».
Ultima corsa il prestigioso «Gran Premio Ezio Del Rosso» in Toscana, tra l’altro vinta dal tuo compagno di squadra al Team Colpack-Ballan l’ospitalettese Michele Gazzoli. Ci racconti quella giornata?
«Più della corsa, non ero già più nella condizione giusta per affrontarla, ho rivissuto sin dalla sera precedente ogni singola cosa degli 11 anni di gare. Dalla prima corsa con la maglia del Gs Ronco di Gussago nei Giovanissimi a Capriolo, a tutto il resto. L’attaccare il numero prima della partenza, la cena con i compagni e tante altre cose. Ho cercato di provare tutte le emozioni possibili sapendo che era l’ultima volta».
Dalle immagini che abbiamo visto sei sembrato sempre a tuo agio e sorridente nel Team Colpack-Ballan...
«Nonostante la stagione condizionata dalla situazione sanitaria il morale della squadra è sempre stato buono. Avevamo tutti una gran voglia di correre visto che la stagione era stata accorciata di tanti mesi e tante corse. Ogni occasione era buona per stare insieme: si faceva fatica ma ci si divertiva, si lavorava col sorriso».
Quindi lasciare davvero non ti pesa?
«Sono sincero: non sento il rammarico, la mia è stata una decisione ponderata e anche a distanza di tempo sono contento della scelta. Ammetto che non è stato facile per chi mi sta vicino, cominciando dalla mia famiglia. Li ho presi tutti di sorpresa: hanno condiviso con me gioie e dolori in questi 11 anni di corse. Però ho esposto le mie motivazioni e mi hanno capito e supportato».
E così giovane hai già fatto una scelta di vita.
«Mi ritengo fortunato ad aver trovato subito il posto di lavoro in una situazione così difficile come quella che stiamo vivendo. Ma se tutto va bene è una situazione temporanea, sto aspettando il concorso per arruolarmi nell’Esercito. Ho sempre avuto in testa questa idea: papà era un carabiniere e sin da piccolo ho avvertito il fascino della divisa. Venendo dalla mentalità e dalla vita di atleta mi sento predisposto alla vita militare, alla vita da caserma. So che non sarà semplice ma non mi spaventa. Mi piacerebbe rimanere nel settore degli atleti, questa estate ho fatto il corso per direttori sportivi e ho preso il patentino di 1° e 2° livello e potrei fare l’istruttore, non è cosa facile ma ci voglio provare».
Con la bici è proprio un addio?
«No, anzi. Visto che al lavoro faccio il turno di notte, qualche volta di giorno inforco la bicicletta e vado a Lonato del Garda che dista una trentina di chilometri da Castegnato, nel negozio di biciclette “Ciclobottega Sildom” che ha aperto mio fratello Domenico che mi ha trasmesso la passione per il ciclismo. Passo molto tempo con lui e lo aiuto: sono proprio contento perché ha realizzato il suo sogno!».
12 luglio 2015, 13° Giro della Brianza ad Olgiate Molgora nel Lecchese. Successo solitario di Aldo Caiati in maglia Team Lvf. Che ricordi conservi?
«Sfondi un portone aperto! Ero in ottima condizione e il gruppo della squadra era molto affiatato grazie al direttore sportivo Daniele Contrini (ex professionista, ndr) che io considero un “maestro di vita”. A inizio corsa ho forato ma invece di aspettare il cambio ruota il mio compagno di squadra Francesco Cornolti, sapendo che quel giorno ero io il capitano designato, mi ha dato la sua ruota. Ricordo ancora le sue parole: “Mi sacrifico ma tu oggi devi vincere!”. Noi del Team Lvf ci tenevamo moltissimo a vincere per dedicarla al nostro compagno Timothy Porcelli che aveva vinto l’anno prima ad Olgiate Molgora, ma che nello stesso anno purtroppo è morto in un incidente stradale. Quelle parole del mio compagno mi aveva dato una carica assurda e così sulla salita di Colle Brianza sono riuscito a fare la selezione e sono rimasto da solo. Ricordo che ho fatto la discesa col cuore in gola, non vedevo l’ora di arrivare al traguardo. Da dietro stavano rinvenendo ma ho tenuto duro e sono riuscito ad arrivare con qualche secondo di vantaggio. Fu grande festa e tanta emozione: con i genitori del povero Timothy ho instaurato un grande rapporto».
Cosa ti ha insegnato il ciclismo?
«Mi ha dato molto e come dicono in tanti è una vera e propria scuola di vita che consiglio a tutti i giovani. Impari lo spirito di sacrificio, impari a non mollare mai in qualsiasi occasione, e con i tempi che purtroppo stiamo passando è importantissimo non abbattersi. Il ciclismo non è direttamente proporzionale tra soddisfazioni e sacrifici, ci vuole una gran testa per superare gli ostacoli. Ed è questa la chiave principale, e sono sicuro che nel futuro mi tornerà sempre molto utile».
E’ davvero un peccato aver perso il ciclista, ma l’uomo resta ed è di spessore e di assoluto livello
da ChiariWeek