Come in una favola. João Almeida è stato la rivelazione del Giro d’Italia 103. A 22 anni, alla prima stagione tra i professionisti, al debutto in una corsa di tre settimane, veste per 15 giorni la maglia rosa e chiude ai piedi del podio di Milano, quarto di una classifica generale in cui i giovani la fanno da padroni. Deve inchinarsi a tre ragazzi con più esperienza di lui, ma entra nella storia come il corridore Under 23 con più giorni in maglia rosa e come miglior portoghese di sempre in classifica generale. Forse, ad un certo punto, ha addirittura pensato di riuscire a centrare il colpaccio, ma dopo ventun giorni «folli» non può che essere felice e ammettere che nemmeno in un sogno avrebbe potuto sperare tanto.
Anche perché il Giro non era nemmeno nei suoi programmi. Il capitano designato della Deceuninck Quick-Step era Remco Evenepoel, caduto malamente in discesa a Il Lombardia. Joao avrebbe dovuto disputare la Vuelta a España ma, in quest’anno in cui nulla è andato come pianificato, è stato dirottato in Italia dalla formazione belga dopo una fantastica seconda parte di stagione, durante la quale era salito sui podi di Vuelta a Burgos, Giro dell’Emilia e Settimana Internazionale Coppi e Bartali.
La sua splendida corsa rosa è iniziata con un inaspettato secondo posto nella tappa di apertura e ha assunto una dimensione completamente nuova quando è balzato al comando della generale in cima all’Etna. Da quel momento in poi, ha continuato a scalare nuove vette facendo girare la testa ai rivali e innamorare i tifosi. Ha vissuto solo una giornata di rallentamento sullo Stelvio senza sprofondare e ha lottato fino alla fine chiudendo con una super cronometro che gli ha permesso di risalire una posizione nella classifica generale e di conquistarsi l’ideale - e in questo caso pesante - medaglia di legno.
Joao non aveva mai corso per più di 10 giorni consecutivi, alla sua “prima volta” in una gara di tre settimane ha dimostrato un’incredibile costanza, piazzandosi tra i primi 30 in tutte le ventuno tappe.
«Non riesco a esprimere a parole quanto sono felice, è incredibile. Il mio obiettivo alla vigilia della partenza era arrivare tra i primi 10, quindi essere quarto nella classifica generale di questa bellissima gara è semplicemente strabiliante. Questo non sarebbe stato possibile senza l’aiuto dei miei compagni di squadra e dello staff, che hanno dimostrato in ogni momento lo straordinario spirito Wolfpack. Sono grato a ognuno di loro» ha detto al settimo cielo all’ombra del Duomo.
Da Palermo a Milano, gli restano solo bei ricordi.
«La tappa regina è stata la più dura della mia vita. Sapevo di non poter reggere i ritmi di Jai Hindley e Tao Geoghegan Hart, che sulle grandi salite sono di un altro livello rispetto a me. Mi sono staccato a 50 chilometri dal traguardo dei Laghi di Cancano, sono salito con il mio passo per limitare i danni e ho dato tutto, grazie anche al morale che mi dava avere al fianco Fausto Masnada, a Davide Bramati che mi guidava in ammiraglia e ai consigli dei compagni più esperti, a partire da Iljo Keisse. È stato uno sforzo brutale ma la salita dello Stelvio è meravigliosa, da lassù c’è una vista che incanta. Sono super felice per come è andata. Non ho rimpianti. Sono stati giorni davvero duri, ma la soddisfazione è indescrivibile. Mi sono scoperto giorno dopo giorno».
Con la sua tenacia ha mandato un Paese intero su di giri e reso felici tante persone che gli vogliono bene. Da mamma Patricia e papà Darìo, arrivati da Caldas da Rainha con tanto di vernice bianca per scrivere il nome del figlio su uno degli ultimi tornanti dello Stelvio, a chi lo ha visto crescere. Alla sua maturazione ha contribuito Axel Merckx, figlio del grande Eddy e talent scout di successo, che con la sua Hagens Berman Axeon ha portato nel World Tour 36 corridori, tra i quali Phinney, Stuyven, Philipsen, Dunbar, Narvaez, Dowsett, Powless, Neilands, Dombrowski, Guerreiro, Bjerg e... Tao Geoghegan Hart. L’ex prof belga di Joao dice che è un piccolo Nibali: «Ha solo 22 anni, è molto completo, costante, migliora con i giorni. Un po’ tipo Vincenzo, forse più forte a crono e un po’ meno in salita».
Nella storia di Joao c’è anche tanta Italia. Nel 2017 ha corso alla Unieuro Trevigiani di Ettore Renato Barzi e da allora il Veneto è diventata la sua “casa” nel nostro Paese. A confermare le doti della rivelazione del Giro 103 è Andrea Morelli, responsabile del settore ciclismo del Centro Ricerche Mapei Sport, che ne ha seguito i test fisici e la preparazione fino al 2019 insieme a Matteo Azzolini, Massimo Induni e al resto dello staff guidato dal dottor Claudio Pecci: «La Federazione Ciclistica Portoghese presieduta da Delmino Pereira ci ha affidato alcuni dei suoi giovani più promettenti, junior e under 23 in orbita Nazionale. Da quella nidiata sono usciti i fratelli Ivo e Rui Oliveria, che corrono con la UAE Emirates, Rubén Guerreiro, ora in EF, André Carvalho, che nel 2021 farà il grande salto con la Cofidis, e Joao, che ha lavorato con noi per due anni. Aveva ottimi valori, facevano presumere il passaggio al professionismo e una buona carriera. Era già andato forte al Giro d’Italia Giovani Under 23, alla Liegi e in altre corse prestigiose riservate ai dilettanti. Ha sempre avuto numeri importanti, senz’altro da quando è entrato a far parte del Wolfpack ha fatto un ulteriore ed evidente salto di qualità».
In Portogallo i preparatori di Mapei Sport, accompagnati dall’esperto dirigente Artur Lopez, hanno visitato la struttura universitaria di Coimbra, con il suo laboratorio di fisiologia e la galleria del vento, oltre al velodromo e la nuova pista di BMX di Anadia, si sono confrontati con il coordinatore Gabriel Ruivaco per allestire un laboratorio di valutazione e condividere i protocolli di valutazione degli atleti quando non potevano viaggiare in Italia per sottoporsi ai test ad Olgiate Olona. Joao, come tutti i talenti portoghesi, è cresciuto tra strada e pista e non sarà di certo l’ultimo frutto di un progetto multidisciplinare e internazionale.
Il primo poster nella sua cameretta è stato quello di Rui Costa, campione del mondo a Firenze 2013 e tra i primi a congratularsi con il giovane e promettente connazionale. Poi lo ha cambiato con quello di Froome. Ora ha tutte le ragioni per stampare una bella foto del suo primo Giro d’Italia e appenderla alle pareti di casa.
«Questa gara è stata un’altalena di emozioni, è come se avessi affrontato le montagne russe - spiega. - Il piano originale all’inizio della stagione era che avrei disputato la Vuelta a España e non sapevo che sarei arrivato al Giro fino a un mese e mezzo prima del via. Dall’inizio della stagione siamo andati a tutto gas e la mia forma è stata buona. Sono riuscito ad allenarmi in modo costante durante il lockdown e ho svolto un importante blocco di lavoro con la squadra durante il ritiro a luglio in Val di Fassa».
Anche se in Portogallo è diventato una stella, Joao non perde la testa e resta con i piedi per terra.
«La reazione dei tifosi è stata pazzesca. Le persone hanno riconosciuto il mio duro lavoro e spero che continueranno a supportarmi anche nei periodi difficili, perché nello sport non si può essere sempre al top. Ho dimostrato di poter soffrire e di saper gestire la pressione, sono il primo a mettermene sulle spalle. Al Giro ho scoperto molte cose su di me, mi sono spinto mentalmente oltre i miei limiti e ho dato tutto ogni giorno. Ma al tempo stesso sono consapevole di avere ancora tanto da imparare e margini di miglioramento. Lascio questa gara dura con tanti bei ricordi, il migliore dei quali è stato senz’altro il giorno in cui ho conquistato la maglia rosa sull’Etna. Salire sul podio finale sarebbe stato un sogno, ma ho dato tutto quello che avevo e ottenuto quello che solo in una favola potevo immaginare alla vigilia. Non so cosa mi riserverà il futuro, ma continuerò a lavorare e crescere per indossare di nuovo questa maglia che è davvero iconica» promette con il sorriso di chi sa che è solo all’inizio di una carriera che ha tutto per tingersi di rosa.