Il Giro d’Italia è una delle corse dei sogni, quella che si anelano sin da bambini fantasticando sul proprio avvenire. Parteciparvi è un’emozione unica soprattutto per chi fino a qualche anno fa non ci pensava nemmeno lonanamente. È quello che è successo a Filippo Fiorelli, siciliano classe ’94, che proprio quest’anno ha affrontato la prima esperienza alla corsa rosa, addirittura partendo poco lontano da casa. Il portacolori della Bardiani arriva da Ficarazzi, un paesino a 10 km da Palermo che per l’occasione si è vestito a festa: è proprio lì che ha incontrato per caso la bicicletta e dopo tanti sacrifici è riuscito a realizzare il sogno di correre in bici. Una grande emozione per Filippo arrivato tardi alle due ruote, ma con un talento pronto da far vedere e nel quale la famiglia Reverberi ha voluto credere fino in fondo, a dispetto di tutti e di tutto. La corsa rosa ha regalato al siciliano molte soddisfazioni con due tappe terminate nella top ten e la fuga nella frazione del Sestriere, tante emozioni spalmate in tre settimane di gara che Fiorelli ha voluto raccontarci
Come è stato questo tuo primo Giro d’Italia?
«Ogni giorno partivo con la voglia di fare bene e di dare tutto me stesso, ero talmente concentrato che non mi rendevo conto che ero proprio al Giro d’Italia, era diventata una normalità, ma appena tutto è finito ho preso coscienza di quanto fossi emozionato: per me era la prima volta e addirittura siamo partiti vicino a casa. Il primo giorno a Monreale c’era tutta la mia famiglia pronta a sostenermi, la mia fidanzata, i miei amici e i parenti, è stato bellissimo. L’unico rammarico è che questo Giro sia arrivato con il problema covid, è stato brutto non avere contatti con il pubblico e dire di no quando mi chiedevano una foto o un autografo, anche perché mi rendevo conto che la gente ci rimaneva male: per fortuna siamo riusciti ad arrivare fino a Milano».
Due noni posti nelle tappe in volata. Ti aspettavi di fare così bene?
«Sinceramente no. Prima del Giro mi sono allenato molto sull’Etna e partivo con la consapevolezza di essermi preparato bene, ma mai avrei immaginato che avrei raggiunto questi risultati. Io ho uno spunto veloce ma non credevo certo di poter raggiungere la top ten proprio negli arrivi allo sprint a gruppo compatto. Ho dovuto vedermela con dei veri velocisti, Demare aveva un treno imbattibile, la nostra squadra non era attrezzata per questo e così dovevo usare molte energie per scalare le posizioni, quando iniziava la volata in pratica non ne avevo davvero più. Però c’è la felicità di essere riuscito a tenere testa a velocisti di classe come Viviani».
Nella tappa di Vieste purtroppo è arrivata una brutta caduta, ma alla fine non hai mai mollato…
«Sono stato molto sfortunato perché un corridore dell’Ag2r è caduto proprio davanti a me e non ho potuto evitarlo, ho picchiato il ginocchio e da quel momento ho passato dei giorni veramente difficili perché facevo fatica a pedalare. Sono stato quasi sul punto di ritirarmi, ma poi la squadra mi ha dato tantissimo sostegno spronandomi a non mollare, non volevo finire il mio primo Giro d’Italia senza aver almeno provato ad andare in fuga».
Ed è arrivata la tappa del Sestriere…
«Quel giorno mi sentivo davvero bene, era l’ultima occasione e così sono partito. Essere in fuga al Giro è un’emozione unica, tra l’altro sono pure riuscito a portarmi a casa la soddisfazione di transitare per primo sul Sestriere, è stato veramente bello anche perché la sera ho ricevuto tutte le chiamate degli sponsor che si congratulavano con me. In realtà devo tutto al mio diesse Mirko Rossato, io ero sul punto di mollare perché il gruppo stava rinvenendo molto forte, lui però dall’ammiraglia mi ha detto di non rinunciare, prendermi un obiettivo ed inseguirlo fino alla fine, da quel momento ho pensato solo a pedalare fino al gpm, più forte che potevo».
Cosa ti hanno insegnato queste tre settimane di corsa?
«Davvero tanto, ma soprattutto come muovermi in gruppo. Io mi ero presentato al Giro con l’idea di entrare in qualche fuga, poi però mi sono ritrovato a fare top ten nelle volate, questo mi ha dato la consapevolezza che se voglio e se mi alleno bene posso tentare di dire la mia nelle volate nei gruppi ristretti o nelle corse minori dove non ci sono velocisti così forti; a quel punto potrei anche migliorare il mio nono posto, entrare nella top 5, nei migliori 3 e chissà forse un giorno riuscire a vincere una tappa».
Per te è il primo anno da professionista, ma hai iniziato a correre piuttosto tardi, solo nel 2014. Come è avvenuto il tuo incontro con la bici?
«Mio papà correva in bici a livello amatoriale, soprattutto mtb, è lui che mi ha messo in sella quando ero piccolo e voleva che seguissi questa strada. Poi però lui ha avuto un incidente abbastanza grave e da quel momento ho deciso di smettere. Ad un certo punto mi è venuto in soccorso il destino perché nel mio paesino, proprio nei locali di mia nonna, hanno aperto un negozio di biciclette. Da quel momento non mi sono più fermato: facevo le gare degli amatori e vincevo, così mi hanno convinto a provare sul serio. Ho trovato delle squadre in Toscana, ma purtroppo avevo già 19 anni».
Evenepoel e altri ragazzi dimostrano di essere già pronti per diventare professionisti a 19 anni, mentre tu iniziavi la tua avventura solo in quel momento…
«Quando correvo da dilettante ho sofferto molto di questa cosa, sentivo di essere molto vecchio perché quelli più giovani di me avevano già una squadra, io avevo paura di non farcela. Nel 2018 avevo deciso di smettere, mi ero reso conto di essere arrivato troppo tardi in questo mondo e di non avere più chance, per fortuna ho sempre avuto accanto la mia famiglia e la mia fidanzata che mi hanno dato il loro supporto e mi hanno spinto a tentare un altro anno. Poi è arrivata la famiglia Reverberi, a loro devo veramente tutto perché hanno creduto in me quando in pochi lo avrebbero fatto perché, a dire le cose giuste, un ragazzo che a 25 anni passa professionista è considerato ormai vecchio. La Bardiani CSF Faizané però ha capito subito che, nonostante l’età anagrafica, ho tanto ancora da imparare, non smetterò mai di ringraziarli perché mi stanno insegnando a vivere il ciclismo e nonostante tutto mi hanno fatto fare un calendario bellissimo. Sarò con loro anche l’anno prossimo, il mio obiettivo è continuare a lavorare bene, poi nel futuro si vedrà».
A proposito di futuro c’è una corsa in cui un giorno ti piacerebbe lasciare il segno?
«Sicuramente le Strade Bianche perché è una delle mie corse preferite. Quest’anno ho avuto l’onore di parteciparvi, ma purtroppo non è andata come speravo perché ho forato nei due momenti più importanti e sono stato tagliato fuori. È un po’ la corsa dei miei sogni e un giorno mi piacerebbe davvero fare bene ottenendo un ottimo piazzamento. E poi chi lo sa, se dovesse arrivare anche un bel colpaccio non direi certo di no...».