L’ultimo Pantani al Tour de France, vent’anni fa. Contro quel texano imbroglione che chiamava Robocop. Sul Ventoux, sull’Izoard, a Courchevel e poi nella tappa di Morzine, ecco il triste commiato dello scalatore di Cesenatico alla Grande Boucle che lo aveva fatto entrare nella leggenda due estati prima grazie all’impresa sul Galibier.
Quei cinque giorni di grande ciclismo dal 13 al 18 luglio 2000 sono anche, forse, l’apice della follia, condita da ipocrisia e leggerezza, in cui lo sport del pedale, ostaggio delle sostanze proibite, era piombato da alcuni anni. Ricordarli, in un luglio orfano di Tour per pandemia aiuta ad attendere lo show spostato a fine agosto.
Gino Bartali se n’era andato da poco più di due mesi, Stefano Garzelli, gregario di Pantani, aveva vinto d’un soffio il Giro aiutato proprio dal suo capitano che aveva dato segni di vita nella tappa dell’Izoard.
Pantani, lo si saprà dopo, aveva già iniziato l’abbraccio mortale con la cocaina. Il 5 maggio del 1999 la sua vita, non la sua carriera, la sua vita, si era imbattuto in un ostacolo insormontabile: da dominatore del Giro d’Italia si era trovato cacciato a Madonna di Campiglio per i valori anomali dell’ematocrito. Sospetto di doping, a casa. L’ipocrita regola dell’Uci prevedeva che, dopo 15 giorni di riposo, un atleta potesse tornare alle corse. Di fatto era una liberalizzazione dell’Epo, entro certi limiti.
Pantani si sentì, invece, vittima di un complotto – che i suoi familiari e non solo invocano da vent’anni – e decise di imboccare un tunnel senza uscita. Al Giro 2000 si presentò praticamente senza allenamento, lo finì in crescendo e con solo i 23 giorni di gare nelle gambe della corsa rosa iniziò il Tour. Che dall’anno prima aveva un padrone. Assoluto, incontrastato, arrogante. Imbattibile con quel concentrato di potenza e agilità che in sella era Lance Armstrong. Il passista diventato scalatore, l’eroe americano che aveva battuto il cancro. Sull’Hautacam, sopra Lourdes, l’antifona è chiara: Armstrong domina, gli altri arrancano. Compreso Pantani, con la maglia della Mercatone Uno, passata da gialla a rosa per non offuscare il simbolo del primato, che evidenziava la forma non perfetta dello scalatore.
Finita? Tristemente finita? No, anche se poi il finale sarà ugualmente triste. È vero, l’italiano non affonda, in classifica è tra i primi venti, ma è davvero altra cosa dal dominatore dell’edizione 1998.
Tredici luglio, undicesima tappa, Mont Ventoux. Il monte calvo, quello di Petrarca; la salita dura, poi il paesaggio lunare. Il monumento a Tom Simpson, morto nel 1967 pieno di anfetamine a un km dal traguardo.
Ancora nel bosco a 8 km dalle vetta Pantani si stacca dai migliori: con il re, Ullrich, Beloki, Heras, Botero, Virenque. Una conta da brividi. Tutti, prima o poi, avranno a che fare col doping.
Auro Bulbarelli, telecronista Rai al debutto al Tour dopo l’era Adriano De Zan, e la sua spalla Davide Cassani, ora ct dell’Italia, capiscono: non c’è nulla da fare. Con loro in postazione c’è Felice Gimondi che due anni prima sul podio dei Campi Elisi aveva incoronato il pupillo. No, Marco ha un sussulto, a 5,5 km dal traguardo rinviene sui primi. Non solo, ormai tra le pietre del monte calvo spazzato dal vento, attacca. Cinque volte. Non è il solito Pantani, basta per infiammare la folla. E ricominciare l’adunata dei tifosi davanti al televisore. In quegli anni il ciclismo malato di Epo fa registrare share pazzeschi. Armstrong, allora, rompe gli indugi. In quattro pedalate raggiunge Pantani. Gli sussurra qualcosa. Pare in francese dica: «Su, più veloce». Irridendolo. Due chilometri di punzecchiate, la curva verso destra, e sotto l’osservatorio, senza striscioni impossibili da piazzare a causa del vento, Pantani vince. Gimondi, ebbro di felicità esclama: «Troppo bello».
È chiaro, Armstrong non si è dannato per vincere. Non lo dice. Almeno subito. Pantani lo sa. Tira avanti. Aggiungiamo noi: immagina che quello che chiama Robocop abbia qualcosa da nascondere. Quindici luglio, 13ª tappa. Sull’Izoard Pantani attacca, lo share della diretta Rai vola al 40%, pazzesco. Armstrong in quattro pedalate lo va a prendere, con una foga inusitata. Al traguardo di Briançon il Pirata è terzo e arrabbiato. Attacca l’americano. Nella sostanza: è forte, è vero, ma perché venirmi a prendere in quel modo? Sedici luglio, il giorno dopo, 14esima tappa: Courchevel. Prima la spettacolare Madeleine. Poi 18 km di ascesa finale, l’ultimo capolavoro di Pantani al Tour. Sarà l’ultima vittoria della carriera. Quel giorno Pantani torna davvero il Pirata. Via la bandana al meno 16, ritmo impossibile, Ullrich che cede, Armstrong ed Heras che resistono. La maglia gialla prova il solito allungo di potenza, niente. A 5 km dall’arrivo Pantani saluta tutti e va a prendere uno a uno gli attori della fuga da lontano. L’ultimo, ironia della sorte, è il Pantani di Spagna, “El Chava”, il selvaggio, Jimenez. Drago in montagna, fragile nella vita, morirà qualche mese prima di Marco vittima della depressione. Pantani vince, stacca l’americano di 51”. Il braccio destro sulla linea del traguardo appena sollevato. Ricordate la foto del Pirata devastato dalla fatica, fradicio ma ebbro di gioia alle Deux Alpes due anni prima?
Niente. No, quello di Courchevel non era già più Pantani. «Ho finalmente staccato l’americano. Da ieri mi era rimasto sullo stomaco, che fosse scattato quando io ero davanti, mi era rimasta la rabbia, per quella sua azione un po’ troppo esuberante, anche se si e’ il leader della corsa bisogna aver rispetto», disse al grande Gianni Mura a fine tappa.
Armstrong? Il giorno dopo, quello di riposo, dirà d’essersi pentito di aver regalato la tappa “all’elefantino”, così chiamava il rivale, sul Ventoux visto che aveva parlato così. Il Pirata prova a reagire. Alla sua maniera, anche se non è più il Pirata. Diciotto luglio, 15ª tappa, si va verso Morzine, cinque colli. È sesto in classifica, col podio a Parigi forse potrebbe ripartire davvero dopo Campiglio. Attacca subito, a 129 km dalla fine. Ne fa 81 in fuga, 25 da solo. Bulbarelli chiama Roma: vuole la diretta tre ore prima del previsto. Così l’Italia si incolla alla tv per il Pirata, per l’ultima volta. Le energie svaniscono, Pantani non mangia bene, beve troppi liquidi, cede, la dissenteria lo mette fuori dal Tour. Armstrong, che si uccide per inseguirlo, prima di Morzine cede ai rivali e rischia pure di perdere la maglia gialla. Marco saluta la Grande Boucle. Non ci tornerà più, non lo vorranno più. Nel giugno 2003, dopo il sussulto nella tappa dello Zoncolan al Giro, la sua Mercatone pare addirittura vicina a un invito in extremis in accoppiata con la Bottecchia, mentre il Pirata è in una clinica di Padova per liberarsi da depressione e polvere bianca.
Morirà il 14 febbraio del 2004 mentre l’Epo ormai dilagava in gruppo. Ma la sua carriera era finita quell’estate di vent’anni fa al Tour. Con quell’ultima mazzata all’imbroglione texano.
da il Messaggero Veneto del 14 luglio 2020