Ha tutto, addirittura troppo. Talento, fascino, intelligenza. Moreno Moser ha vinto 5 corse al primo anno da professionista, nel 2012, e 3 negli altri 6. Dopo la Liquigas, la Cannondale e l’Astana, ha scelto di scendere in una squadra italiana, la Nippo-Vini Fantini. Fuori dal World Tour, ma dentro il Giro d’Italia, dove lui sarà il capitano. Debutterà mercoledì alla Vuelta Valenciana, anche se ha passato gli ultimi cinque giorni con l’influenza e ha perso allenamenti e condizione.
Ha detto: voglio tornare a essere felice. Quando è stato infelice?
«In corsa tante volte. Quando mi stacco. Quando non posso correre per vincere. In fondo io corro perché mi piace la competizione, per fare risultato. Altrimenti non è il mio mondo, non è per questo che ho fatto il corridore. Io vedo il ciclismo come un bambino: corro per fare gare, per vincere. Sono individualista io, non l’ho mai visto come uno sport di squadra, penserai che sono un egoista, ma è il mio carattere, sono un po’ solitario. Poi è ovvio che uno si adatta ai ruoli in base ai risultati, ma nella mia indole non ci sarebbe questa cosa, tanto che ho preferito andare in una squadra più piccola piutttosto che fare il gregario. Ma non per presunzione: è che io non lo so fare il gregario, non l’ho mai saputo fare».
Coerente: anni fa ha detto che non avrebbe fatto il gregario.
«Allora era facile dirlo. Magari se me l’avessi chiesto qualche anno fa ti avrei risposto che non sarei mai andato in una squadra piccola, fuori dal World Tour. Se ne dicono tante di cose... Poi però ci si ridimensiona, l’essere umano si adatta».
Moreno Moser si è adattato?
«Alla fine sì. Entri nel ciclismo dando quasi per scontato che sarai un campione, sembri destinato a salire sempre e fai fatica a guardare indietro. Ma quando le cose te le immagini sembrano sempre più grandi. Adesso sto da dio, sono felice, non ho risentimento nè invidia, penso a me».
Andare alla Nippo sembra un passo indietro ma fino a un certo punto: Moser è al centro del progetto.
«Alle pressioni non penso più, anche perché nessuno mi chiede di vincere il Tour».
Tornerà al Giro, tre anni dopo l’ultima volta.
«Sono strafelice, anche di farlo con squadra come questa: avrò tanta più libertà».
Si è deluso finora?
«Ovviamente le aspettative erano diverse, ora seguo il flusso della vita dove mi porta. Non è fatalismo: vedo un disegno che sta per comporsi, come dei tasselli che si uniscono. Adesso sto per dire una cosa pesante».
Sentiamo.
«Purtroppo io sono cresciuto in una famiglia abituata male, in un ambiente che vedeva il ciclismo solo nell’essere campioni. E ho cominciando vincendo, così è stato anche peggio: questo mi ha fatto passare anni in cui mi sono quasi vergognato della carriera che stavo facendo, e questo è brutto. Poi un giorno mi sono svegliato e ho capito che non c’era proprio niente di cui vergognarmi, devono vergognarsi quelli che hanno infangato il ciclismo, non certo io che l’ho sempre vissuto con sincerità e onestà. Così ho deciso di rialzare la testa e andare avanti».
Perché si vergognava?
«La gente mi incontrava e mi diceva: ehi, dove sei finito? Ma non ci sono delle regole di come va vissuta la vita, ognuno fa la sua strada. Ecco perché sono contento di essere finito qui, si sono incastrate delle cose che magari più avanti vi mostrerò. Ora le lascio in sospeso».
Una sorta di fede?
«No, io non credo in niente, ma percepisco una ruota che gira, una specie di karma, seguo il flow, consapevole che ci sono cose che non sono totalmente sotto il mio controllo, e soprattutto non c’è solo il ciclismo».
Un direttore sportivo un giorno mi ha detto che lei sa tutto dei bit coin. Mi sembra un valore aggiunto non parlare solo di biciclette.
«Con me sfondi una porta aperta, non sarò mai quello che pensa solo al ciclismo. Sono distratto da una marea di cose, ultimamente sono un po’ invasato con la finanza. Però non metterlo nel titolo, se no mi imbarazzo».
Come vede l’Italia?
«Che domanda complicata... Vedo le banche abbastanza stabili, sono contento. L’indice Mib sembra in leggera ripresa, sono stato un po’ preoccupato, ma quando sento parlare di default dell’Italia mi sembra surreale. Hai mai visto l’Italia dal satellite? Da Torino a Verona è un’unica fascia di luce, a volte dimentichiamo che siamo una potenza anche industriale. Certo, abbiamo problemi di civiltà, di educazione. Da noi, e io sono il peggiore di tutti, le leggi sembrano elastiche: qui c’è la legge, e tu percepisci sempre un margine a destra di dieci centimetri e un altro a sinistra. Però sono ottimista, abbiamo tanto, tutto quello che ci permette di sognare».
da Il Corriere dello Sport