Non c’è bisogno che lo dica il vincitore, anche perché in fondo lui ha tutto l’interesse di gonfiare la sua impresa. Lo dico io senza problemi, da sempre, convintissimo, senza nemmeno alcuno spirito patriottardo: il Lombardia è e resta a pieno titolo la corsa più bella, più completa, più autorevole del mondo.
L’unico limite che si porta dietro non è suo, ma lo colpisce di riflesso: non tutti i migliori ci arrivano, e anche quelli che ci arrivano non sono sempre presentabili. Ma qualcuno mi dica quale corsa ormai può dire di avere al via tutti i migliori del cosiddetto ranking, al meglio delle possibilità. Risposta esatta: nessuna. E allora teniamoci in cima alla graduatoria del prestigio e del gradimento il Lombardia, che ha anche il merito per niente trascurabile di premiare i ciclisti più continui, più costanti, più resistenti, vorrei dire in una parola sola più ciclisti, nel senso che a metà ottobre sono ancora in piena attività, alla faccia dei calendari calcolati col bilancino e delle preparazioni concentrate su un solo mese all’anno.
Parentesi, senza farla lunga: noi italiani apriamo la stagione starnazzando sulla Sanremo troppo facile, che va cambiata con l’aggiunta di qualche difficoltà, e poi chiudiamo la stagione discutendo sul Lombardia troppo difficile, che andrebbe un po’ alleggerito per non mettere in fuga tanti campioni esauriti. In attesa magari di scambiarli, mettendo il Lombardia a marzo e la Sanremo a ottobre, io mi terrei ben strette queste due perle del nostro sport, così come sono, evitando accuratamente di metterci mano, anche solo di sfiorarle. Ognuna, a modo suo, continua a svolgere il proprio ruolo di apertura e di chiusura nel migliore dei modi, invidiatissima da tutto il mondo, senza la minima perdita di fascino e di poesia, a dispetto del secolo di vita.
Il Lombardia, non ne parliamo. Per me resta il vero Mondiale del ciclismo. Guarda caso, stavolta ai primi posti ci sono Pinot e Nibali, due tizi che si mettono in discussione dalla primavera all’autunno, tra l’altro entrambi reduci da due calvari per niente leggerini. Pinot era uscito semiagonizzante dal Giro, chiuso in ospedale, ricoverato per esaurimento forze, allo stremo delle resistenze umane. Nibali invece viene dall’interminabile convalescenza per il grosso guaio alla schiena provocato da quel cretino cosmico sull’Alpe d’Huez.
L’uno e l’altro, in un altro sport per signorine, in un altro ciclismo per cristalli di Boemia, avrebbero potuto benissimo cogliere la palla al balzo e piantarla lì con netto anticipo, rimandando qualunque discorso all’anno prossimo. Invece si sono ritrovati tutti e due proprio lì, nel finale estremo di una stagione estrema, ancora famelici e fachiri come se niente fosse. Poche volte un ordine d’arrivo ha reso così giustizia agli atleti più cocciuti e più romantici del gruppo. Ci poteva riuscire solo il Lombardia, con la sua giustizia imparziale e spietata, a prova di furbizie e di fortune, capace di assolvere e condannare solo in base a puri e semplici criteri di verità.
Bella, bellissima edizione. Un’altra, una delle tante. In definitiva, festeggiando il gran galà della stagione 2018, a noi gente d’Italia resta solo un sottile velo di malinconia. Ancora una volta, ci accorgiamo che il nostro ciclismo vero è ancora e sempre più aggrappato al nome di Nibali. Ma adesso l’annata si chiude, e quando ne comincerà un’altra l’amato Nibali sarà sempre meno giovane, un anno in più e qualche forza in meno. E’ un cattivo pensiero, chiudendo gli ombrelloni: ma umano e inevitabile. E’ triste riconoscerlo, ma l’autunno del Lombardia sa molto di autunno generale, per tutti noi.