Quando Davide Cassani dice che non ci sono parole per descrivere qualcosa, è l’unica volta che non gli crediamo: perché lui le parole le sa trovare, scrivere bene è una delle sue tante qualità. Anche in questo ci ricorda Alfredo Martini, che annotava tutto sui suoi diari con scrupolo e precisione. Cassani è diventato ct della nazionale il 4 gennaio di quattro anni fa, e se non credete ai segni mettevi il cuore in pace perché il 4 gennaio sarebbe stato il compleanno del suo babbo, Vittorio, che faceva il camionista e sulla sua radio CB si era scelto il nome «Davide azzurro». Destino, certo. Quel 4 gennaio Davide era a casa di Alfredo Martini per l’investitura. Quattro anni e mezzo più tardi, a Glasgow, ha vinto il suo primo oro su strada da quando è ct, con il successo di Matteo Trentin al campionato europeo. «Sì, l’ho pensato che ad Alfredo questa vittoria sarebbe piaciuta. Se ci avesse visto in tivù, sarebbe stato il primo a chiamarci per farci i complimenti. Non a me, ai corridori. Hanno corso da squadra. Come ci ha insegnato lui».
La squadra si era vista anche quando non si vinceva. Ma come dice Velasco, chi vince festeggia e chi perde spiega.
«Avevamo sempre corso bene. In Qatar, agli Europei dell’anno scorso, ai mondiali di Bergen. Poi nel ciclismo vince uno solo. Ma la squadra intanto cresceva».
Citiamo parole sue: il ciclismo è fatto di tanti poco che arrivano al tanto.
«Ci sono valori importanti che sono rimasti intatti in venti, trenta, quarant’anni. Quando ho visto Cimolai piangere per l’emozione dopo il traguardo mi è venuta la pelle d’oca. Avevo i lacrimoni anch’io. Mi aveva chiamato prima del Tour: la squadra non mi porta in Francia, ma stai tranquillo, mi preparo apposta per gli Europei. Io lo conosco, so come ragiona e gli ho dato fiducia. La sera prima della corsa mi ha detto: sto bene».
E vi siete ritrovati a piangere sotto il podio.
«Mi ha fatto tornare al Mondiale di Bugno, quando rimasi sotto il podio per godermi quel momento. Anch’io ero un gregario, e quello è stato uno dei momenti più belli della mia vita. Fino a domenica. Ero dietro, ci avevano fatto deviare con l’ammiraglia, mi sono catapultato fuori dalla macchina e sono andato a cercare un maxischermo per vedere il finale. Quando l’ho trovato c’era Matteo a braccia alzate, è stato bellissimo».
Più di una vittoria: un trionfo collettivo.
«Hanno corso sempre fra i primi dieci, quindici al massimo. Quando è andata via la fuga, Viviani è venuto all’ammiraglia: se Matteo sta bene noi chiudiamo. E così hanno fatto. Quella foto con Cimolai quinto che alza le braccia perché capisce che Trentin vincerà è l’essenza della squadra».
Viene voglia di ripetersi al più presto. Il 30 settembre c’è il Mondiale.
«Sarà difficile, complicato, ma io ci credo. Anche se abbiamo uno che si è rotto, uno squalificato e uno che deve sistemare la stagione. Ma sono convinto che possiamo andare a Innsbruck per giocarcela da squadra. La nostra forza reale però la sapremo soltanto fra un mese».
Quanto della squadra è già deciso?
«Quelli sicuri sono quattro o cinque, per gli altri posti ho 14-15 nomi in testa. Caruso è uno che mi dà sempre certe garanzie, Pozzovivo so come lavora, gli altri li vedremo alla Vuelta. Nibali magari non sarà al cento per cento ma è Nibali. Aru l’ho sentito molto bene ultimamente, per lui la Vuelta sarà molto importante. Moscon sta pagando un conto molto salato, vediamo quando riprenderà a correre come starà. Lui è uno dei giovani più interessanti che abbiamo, destinato a vincere belle corse in futuro. Andrò a trovarlo, fra l’altro abita a Innsbruck». Siamo già lì, almeno con la testa.
dal Corriere dello Sport-Stadio