Abbiamo incontrato Pippo Pozzato (foto, Adrian Hoe) nella giornata di riposo del Tour of Qinghai Lake 2018 a Wuwei. Il nome più rappresentativo di questa edizione della corsa cinese era reduce da una caduta per fortuna senza conseguenze, ma che avrebbe davvero potuto raccontare un'altra storia. La chiacchierata ha abbracciato non soltanto questa manifestazione, ma anche e soprattutto il futuro prossimo del vincitore della Sanremo 2006.
Qui sotto le sue risposte, nel file audio a fondo pagina l'intervista da ascoltare.
La prima maglia gialla Bouglas ha detto che sei un suo riferimento, hai avuto modo di parlarci?
«Sì, abbiamo parlato in questi giorni e sapevo chi era perché mi seguiva su Instagram e commentava le foto, mi fa sicuramente piacere avere tifosi in gruppo e essere di ispirazione anche al di fuori del circuito europeo dove corriamo di solito. Oltretutto è un bravo ragazzo, ben vengano questi incontri».
In questo momento della carriera hai l’occasione di conoscere nuovi posti e nuove culture. Una bella opportunità.
«Da questo punto di vista sì perché sono stato in Malesia, Marocco, Corea e qui, quindi ti apre la mente e puoi conoscere nuove culture. Da corridore professionista che ha vinto corse importanti, non per sminuire questa, magari fa un certo effetto essere qui, ma c’è sempre da imparare qualcosa e trarre del positivo da queste trasferte così differenti».
Cosa si può anticipare del tuo futuro, l’anno prossimo?
«Ieri addirittura un giornalista mi ha detto “Complimenti che hai firmato”. Ho risposto “Che sappia io non firmato niente, se lo sapete voi…“. La mia idea è continuare ancora un anno per finire con 20 anni di professionismo. Chiaramente preferirei una squadra World Tour, perché con la carriera che ho fatto sarebbe bello concludere dignitosamente disputando le corse importanti che mi hanno dato tanto in passato. Sarà indubbiamente più difficile vincere alcune corse, ma parteciparvi in appoggio di qualche corridore importante o con un piccolo risultato nelle prime posizioni sarebbe stimolante per me. Insomma, vorrei correre una stagione come si deve, come cinque o sei anni fa, al 100% non come magari negli ultimi due o tre anni per diversi motivi. Vuoi per un programma che non c’era vuoi per le difficoltà con le varie squadre. Inoltre, il ciclismo moderno è diverso, devi sempre essere al cento per cento già solo per finire le corse. Arrivare davanti è quasi impossibile se non ci si prepara in modo perfetto. Vorrei dunque cercare una squadra che renda possibile questo».
E quando scenderai dalla bicicletta?
«Un po’ di progetti in piedi ci sono già. Ce n’è uno con Luca Mazzanti al quale mi dedicherò una volta ritirato, visto che ora se ne sta occupando prettamente lui, per seguire i corridori come procuratore. Il sogno è sempre quello di creare una squadra all’altezza della tradizione italiana, che attualmente non c’è. Servirà trovare gli sponsor giusti per riportare il ciclismo italiano dove merita, perché negli ultimi anni penso sia andato a morire tutto. E per gente come me che è innamorata del ciclismo e più ancora di quello italiano è brutto vedere la fine che stiamo facendo, con squadre non all’altezza del circuito internazionale.
Come vedi il ciclismo internazionale attuale?
«Fa pensare molto il progetto Sky: hanno vinto sei Tour de France senza contare il Giro e la Vuelta, con corridori inglesi. Il movimento britannico era qualcosa come al 24esimo posto qualche anno fa e ora è al quarto. C’è stato un grande cambiamento nel ciclismo e sarebbe bello l’Italia ritornasse davanti. Abbiamo certo talenti per questo, ma non abbiamo più le strutture per competere nel ciclismo internazionale a parità di potenziale e opportunità. Dovremo rimboccarci le maniche e lavorare duro per le generazioni a venire. Vorrei trovare dei talenti e dare loro la possibilità di crescere al 100%, colmando le lacune che ho trovato io in carriera».
Quanto è cambiato il ciclismo moderno?
«Il ciclismo attuale è difficilissimo. Qualcuno mi dice che sono un folle, ma credo di essere obiettivo. Non è che non ci siano talenti in Italia, il punto è che la globalizzazione ne ha portati tantissimi da tutto il mondo. Il ciclismo, come tutto il resto, si è internazionalizzato. Oltre all’esempio dell’Inghilterra potrei citare l’Australia, gli USA. Le migliori squadre arrivano tutte da fuori l’Europa a parte Quick-Step, Movistar o Lotto Jumbo o Lotto Soudal. Seppur l’Italia abbia una grandissima storia e cultura del ciclismo ora si vince di meno: prima c’erano 6 corridori che andavano davvero forte, ora ce ne sono 40. Il livellamento e le prestazioni sono diventate altissime, tutti sanno come prepararsi e alimentarsi al meglio oltre che l’accesso ai mezzi meccanici più moderni, c’è una ricerca esasperata dell’aerodinamicità e scorrevolezza. Raggiunto questo livello altissimo la differenza la fanno i dettagli. La competizione rende tutto più bello, ma corridori che hanno smesso tre, quattro o cinque anni fa non capiscono questo cambiamento. Il ciclismo negli ultimi cinque anni è cambiato completamente, si è quasi esasperato, rispetto allo scorso decennio».
Sky è un’ispirazione?
«Sky ha alzato notevolmente il livello trascinandosi dietro tutti gli altri. Ed è positivo, perché tutti gli sport si stanno evolvendo in materiali e preparazione dalla F1 alle moto o lo sci, ma anche calcio e nuoto. Nel ciclismo si vuole spesso fare come una volta e fare i romantici, ma il romanticismo non serve a niente se non ai ricordi e non si può vivere di ricordi. Sky ha stravolto la preparazione con professionisti che non c’entravano niente col ciclismo e gli altri team si sono adeguati a questa ondata di innovazione positiva per tutti. Perché io li vedo in positivo, non come molti che li criticano. Sono al vertice e hanno certo risorse economiche superiori, ma questa non deve diventare una scusa perché loro vincono solo perché hanno più soldi. È difficile, ma con la buona volontà e la voglia di migliorare e le strutture moderne esistenti si può fare qualcosa con meno budget».
Avresti voluto correre in Sky?
«Per il mio modo di ragionare Sky è troppo complicata per me. Loro sono molto razionali, guardano troppo i numeri. Credo ci sia bisogno di più umanità. Il mio sogno sarebbe quello di mettere insieme i numeri con l’umanità e la cultura italiana e la sua fantasia. E penso che questa idea la sposi al meglio la QuickStep: si sono evoluti tantissimo, mantenendo una bellissima mentalità. E questa è la fortuna per un corridore come Viviani, che ha trovato un gruppo fortissimo visto che è la squadra che sta vincendo più di tutti, con una atmosfera ideale. Merito soprattuto di Lefevre, ma anche dei direttori sportivi che sono riusciti ad amalgamare un gruppo ammirevole. Quindi penso si possa ispirarsi senza esasperarsi come Sky, che può andare bene per certi corridori e per altri no. Per Froome è perfetto, per l’altro vertice del movimento internazionale Sagan non sarebbe perfetta.
Tanta carne al fuoco per il futuro
«Sicuramente. Basta aver voglia di impegnarsi perché di possibilità di creare progetti interessanti intorno al ciclismo ce ne sono tantissime. Tantissime come le idee: bisogna avere il tempo e le persone giuste per svilupparle».