Trieste, 1° giugno del 2014, Piazza Unità d’Italia colma di tifosi celebra Nairo Quintana maglia rosa del Giro d’Italia. Stessa città, stessa piazza, quattro anni e ventitré giorni dopo un altro colombiano sale sul gradino più alto del podio. Indossa una maglia blu con manica rossa, ha vent’anni e mezzo e risponde al nome di Ivan Ramiro Sosa. Il piccolo scalatore della Androni Giocattoli pedala scortato da un raggiante Gianni Savio verso la sala stampa per la conferenza stampa conclusiva, il tempo di una domanda: che effetto ti fa se pensi a Nairo proprio qui? I suoi occhi brillano, probabilmente non ci aveva pensato. «È bellissimo», risponde dopo qualche secondo in modo sintetico, come è sua abitudine.
Era il più atteso in cima al Passo Giau per la tappa regina della Adriatica Ionica Race 2018 e non ha tradito le aspettative.
«Uno dei pregi di Ivan è che è un ragazzo che ascolta e fa molte domande» ci aveva confidato il diesse Ellena alla partenza della cronosquadre e in effetti tre giorni dopo lo scalatore sudamericano ha seguito pedissequamente le indicazioni di Savio. Il Principe era stato chiaro: «Mettiti alla ruota di Ciccone, se parte a inizio salita o alla fine tu segui sempre lui». E così è stato.
«Ciccone ha accelerato diverse volte - ha raccontato Ivan a fine tappa - ma sono rimasto tranquillo a ruota e quando mi sono sentito bene l’ho staccato». Mancavano due chilometri al traguardo, dove il colombiano è giunto con 37 secondi sul rivale della Bardiani CSF. La frazione ha poi deciso la classifica finale: la Androni Giocattoli Sidermec ha protetto a ranghi compatti il proprio capitano nelle due tappe finali, con corridori come Manuel Belletti che sacrificavano ambizioni personali per il bene della squadra, soprattutto nel complicato finale della quarta tappa sullo sterrato prima di Grado.
Ma chi è Ivan Ramiro Sosa? È nato il 31 ottobre 1997 nel dipartimento di Cundinamarca in Colombia. Non nel capoluogo Bogotà (che peraltro è parte interna e separata come Distrito Nacional), ma nella cittadina di Pasca.
«Ho iniziato a correre a 10 anni insieme ai miei cugini - racconta Ivan - grazie alla grande passione per il ciclismo di mio zio. È stato lui a spingermi a provarci e lo ringrazierò sempre tanto per questo. Anche uno dei miei cugini è passato professionista e milita nella Manzana Postobon, si chiama Jhojan Garcia».
Quale dei tanti colombiani al vertice del ciclismo è stata la sua ispirazione?
«Mi piace davvero molto Rigoberto Uran, è stato lui una delle mie ispirazioni quando ero ragazzino, però il più forte di tutti in questo momento è il mio caro amico Egan Bernal». E in effetti il parallelismo è immediato per età, storia e squadra, ma Ivan riconosce: «Lui è molto più forte di me a cronometro».
Gianni Savio aveva scoperto Sosa dietro segnalazione di uno dei suoi contatti più fidati, Héctor Urrego della Radio Nacional de Colombia, che gli aveva parlato di questo ragazzino da seguire. Ivan aveva infatti vinto la tappa regina della Vuelta del Provernir de Colombia. E così è arrivato il contratto fino al 2020 attraverso Paolo Alberati, peraltro agente anche di Bernal.
«Però, prima del salto con i professionisti, l’ho lasciato un anno parcheggiato alla Maltinti Lampadari di Renzo Maltinti - racconta Savio - così ha potuto fare un po’ di esperienza e ha vinto una corsa tra i dilettanti. Quel giorno ha dimostrato la sua stoffa perché, pur essendo in fuga con due avversari compagni di squadra, è riuscito a trionfare. Mi ricorda corridori come Cacaito Rodriguez o come Freddy Gonzalez. Come mia abitudine faccio crescere gradualmente i giovani talenti e, non a caso e contro il nostro interesse, non l’ho fatto correre al Giro d’Italia perché alla sua età è rischioso dare tutto in una corsa di tre settimane. Lo lasciamo crescere con calma, dosando le gare e consentendogli di tornare a casa ogni due o tre mesi, perché ragazzi così giovani hanno bisogno di non essere sdraticati dal loro habitat».
Il 2017 lo ha visto miglior giovane al Tour of Bihor e alla Vuelta al Táchira, mentre nel 2018 ha raggiunto piazzamenti da top ten in tutte le corse a tappe disputate, comprese quelle più impegnative come il Tour of the Alps dove ha ottenuto due terzi posti nelle prime due tappe e pesanti vittorie proprio al Táchira e al Tour of Bihor, dove ha anche vinto la classifica generale. Ivan vive a Cuorgné, un piccolo centro alle porte di Torino, insieme all’altra speranza dell’Androni Giocattoli ossia quel Kevin Rivera già trionfatore l’anno scorso al Tour of China II. «Andiamo spesso ad allenarci sul Colle del Nivolet, perché è vicino e perché sembra una salita colombiana. La mia prossima corsa è il Sibiu in Romania e parto per vincerla, come per tutte le gare. Cosa c’è nei miei sogni? Il Giro d’Italia e il Tour de France. Ma devo migliorare tanto a cronometro, vado ancora un po’ piano. Non serve a niente essere uno scalatore forte se poi contro il tempo perdi tre minuti».
La Androni Giocattoli Sidermec coccola il proprio talento e lascia la briglia un po’ sciolta. «Sono in una squadra perfetta per me, mi lasciano tranquillo di correre senza troppe pressioni e sto imparando tanto», conferma Ivan.
Un nuovo studente sta frequentando l’università del ciclismo e ha già ottenuto ottimi voti, non resta che attendere con pazienza per scoprire quanto in alto saprà arrampicare
da tuttoBICI di luglio