Palla lunga e pedalare. Soprattutto pedalare, quando può, quando il pallone non lo occupa eccessivamente, quando Pep Guardiola – il suo capo - gli dà il via libera. Per Massimiliano Sala, comasco di Cadorago, classe ’70, amico di Fabio Casartelli, di cui è stato anche testimone di nozze, e tifoso di Marco Pantani, la bicicletta è davvero un amore. «Il più fanciullo di tutti, e per questo il più importante: quello che ti resta dentro per sempre», dice lui che di professione fa il medico sportivo nel mondo del calcio (a Manchester, sponda del City), dopo aver incominciato, neanche dirlo, nel ciclismo.
«Laurea in medicina sportiva a Ferrara, poi gavetta sul campo o meglio, sulla strada, al Centro Mapei Sport di Castellanza, con maestri di prima grandezza come il compianto Aldo Sassi, Massimo Testa, Massimo Besnati e tanti altri, solo per fare qualche nome. Ancora oggi ho rapporti con il Centro, con il dottor Claudio Pecci e il suo bellissimo staff, fatto di eccellenze assolute, visto che sono un’eccellenza nella preparazione sportiva».
Prima però c’è stata la bicicletta…
«Il primo gioco, il primo sogno, il primo regalo. Tante corse, con la maglia della Puginatese, la squadra mandata avanti da papà Mario e dello zio Antonio, appassionatissimi. Ho corso fino alla categoria dei dilettanti, con la maglia della Marianese, ma quell’anno mettevo solo il numero sulla schiena, era l’anno della maturità. Poi la decisione di scendere di bicicletta e mettersi sui libri. Voglia di imparare, di apprendere un mestiere che oggi mi rende felice. Al Centro Mapei dal ’99 al 2002, anno in cui il dottor Giorgio Squinzi decide di chiudere la squadra. Poco dopo entro nel mondo del calcio: direzione Milan. All’inizio è la squadra Primavera, poi quella del grandissimo Carlo Ancelotti. Persona eccezionale, un vero galantuomo, un signore in tutto e per tutto. In quei magnifici cinque anni vinciamo tutto quello che c’è da vincere».
Poi l’Inghilterra, Manchester. C’è da scegliere sempre su che sponda stare: ecco il City.
«Arrivo in Inghilterra nel 2013, con tutta la mia famiglia: Cristina e i nostri Riccardo, Federico e Camilla. Inizia una nuova avventura, che al momento è davvero bellissima».
Parli di avventura, ma ne hai una in serbo che è probabilmente più faticosa.
«Sotto l’aspetto fisico sicuramente, sotto quello emozionale è una gioia, visto che io amo il ciclismo e quello che sto mettendo in piedi riguarda la bicicletta. Appena posso io pedalo sulla mia F8 Pinarello. Ora mi sono messo in testa di fare qualcosa per me, ma anche per gli altri. Voglio correre l aprossima edizione (dal 12 giugno, ndr) la Race Across America, una gara di ultraciclismo, la più dura del mondo. Un “coast to coast” per un totale di 5 mila chilometri da percorrere in un massimo di 12 giorni. In quel periodo si giocheranno i Mondiali di calcio, quindi io posso pensare alla bicicletta. Vorrei raccogliere fondi per la Fondazione del Manchester City, che da trent’anni si occupa di bambini disabili. In questa città 1 bimbo su 5 ha problemi di disabilità. Il perché? Qualità della vita, congiunzioni genetiche (leggi DNA, ndr). È un’area molto endemica, tanti possono essere i fattori di rischio. Io vorrei contribuire con questa mia pedalata, dove mi metto in gioco, con il mio gioco preferito, per raccogliere fondi che andranno a finanziare una nuova struttura calcistica dedicata proprio ai ragazzini disabili. Al mio fianco ho tutto il Manchester City, la Sky di Froome, ma anche Mauro Farabegoli, che questa corsa folle l’ha già disputata in carriera 11 volte ed è a lui che mi sto affidando per conoscere segreti e metodologie di allenamento. Nel mese di novembre, approfittando dello stop dei campionati, sono tornato in Italia qualche giorno. Un saluto ai miei genitori che vivono vicino a Lomazzo e poi via in bici: ho fatto la terza simulazione: 600 km in vista del 12 giugno».
Ciclisticamente parlando chi è il tuo idolo sportivo?
«Giovanni Battaglin. Per me è stato un grandissimo campione, ma anche un corridore maledettamente sfortunato».
Oggi per chi palpita il tuo cuore?
«Chi ama il ciclismo non può non avere rispetto e ammirazione per Alberto Contador, Vincenzo Nibali e Chris Froome, tre autentici fuoriclasse».
Sei al City, ma la tua squadra da fanciullo?
«Il Torino, quello di Pupi Pulici e Ciccio Graziani».
A Guardiola piace il ciclismo?
«Lo segue, ma non lo pratica. Lui adora il golf».
Chi ama il ciclismo?
«I giocatori lo seguono un po’ tutti, soprattutto quando ci sono i Grandi Giri o le grandi classiche, ma il più appassionato e competente è Vincent Kompany, il nostro capitano. Da buon belga è un vero malato di questo sport».
In un anno quanti chilometri percorri in bicicletta?
«Nel 2017 sono andato ben oltre i 15.000, ma ora dovrò intensificare il lavoro. La mia squadra, da Guardiola ai giocatori, sono tutti dalla mia parte. Sanno che è per una nobile causa, e mi stanno supportando in tutto e per tutto. È proprio un bel gioco di squadra, nella quale ci entra di diritto anche la mia famiglia. È una cosa che faccio con il cuore, come tutte le cose che amo fare. Io mi ritengo un uomo estremamente fortunato, perché ho quello che ho sempre sognato di avere e faccio quello che ho sempre sognato di fare, quindi pedalo per ridare qualcosa a chi è stato meno fortunato del sottoscritto. Mi raccomando, non voglio applausi o complimenti, solo opere di bene (www.justgiving.com/drmaxraam), per la Fondazione del City, per i nostri bimbi di Manchester».
Pier Augusto Stagi