Che il tempo è fatto di attimi e settimane enigmistiche, uno lo può imparare ascoltando la musica del più grande chansonnier italiano. Però ci sono luoghi, viaggi, compagni/e di strada, che aiutano a comprendere. Carpire gli attimi, sempre fuggenti, affrontare gli enigmi, sempre incombenti. Et cetera, et cetera.
La bicicletta è una di quelle inimitabili compagne di via. Silenziosa quando serve, ma capace di farsi ascoltare, non solo col "cigolìno" di quando l'hai troppo maltrattata. Alcuni posti dove ti porta, te li rende incredibilmente simili a certi luoghi dell'anima. Credo che Cabo Fisterra sia uno di questi luoghi.
Cabo Fisterra andrebbe chiamato così, sempre e da tutti, perché la gente di questa terra così lontana da tutto - la Galicia spagnola, la Gallaecia dell'epoca romana - nella lingua di qui, più portoghese che spagnolo ortodosso, lo chiama così: Fisterra. Per i castellano-hablantes (e per noi) è Finisterre. Nell'antichità era Finis Terrae, il confine della terra. Più in là soltanto mare. Almeno fino al 1492. Almeno per le civiltà europee. A proposito, Colombo mica era genovese: si chiamava Cristòbal Colòn ed era galego (galiziano, diremmo noi?) o al massimo, catalano.
Ho scritto una blasfemia? Sono entrato in una moschea con gli scarponi da montagna? Temo, e do preavviso, che non sarà l'ultima volta. E comunque su questa teoria ci son libri alti così, e non solo qui in Spagna. Primo enigma irrisolto. Ripeto, non sarà l'ultimo. Pedalare molto (e non troppo forte) aiuta a scoprire nuovi enigmi e, per farvi posto, a dimenticare quelli più angoscianti.
Questa settimana enigmistica sarà la prima di un viaggio che, secondo una teoria tutta personale che non so se spiegherò (perché non so se sia spiegabile e soprattutto se interessi qualcuno) dovrebbe concludersi a Venezia. I primi otto-novecento chilometri seguono a ritroso alcuni dei molti itinerari del Camino de Santiago. Sì certo, "le chemin au contraire" lo fece Paulo Coelho prima di scrivere uno dei suoi best seller, mentre qui "letterariamente" si gioca in serie C2 (parlo di me e della mia bici, beninteso) ma pazienza.
Santiago de Compostela dista qualcosa meno di 100 chilometri da Fisterra. Un po' di costa e poi un altro mare, ma un mare di verde, sempre ondulato, dove si incontrano più mucche che automobili. Paradiso da ciclisti. Peccato solo che non ci sia un ettometro in pianta. Ma neanche a pagarlo in barre di uranio per le centrali nucleari (che per fortuna da questa estremità d'Europa sono belle lontane).
Tutta la Galizia è così. Ed è una terra di silenzi e di misteri come poche altre ce ne sono. Cominciando da quello della tomba dell'apostolo Giacomo, che la tradizione del cattolicesimo vuole scoperta qui un bel po' prima dell'anno mille. Ma secondo altre teorie quello non era il sepolcro di "Giacomo il maggiore", bensì di tal Prisciliano, leader di una setta religiosa dedita al culto dell'acqua. Secondo enigma. Senza contare che ben prima delle presunte sepolture di cristiani Vip, prima anche della "colonizzazione" romana a cavallo dell'anno zero di questa era, i celti (o celtiberi come preferiscono chiamarli vari studiosi) andavano a Fisterra a rendere un religioso omaggio al tramonto del sole nell'oceano. Il cammino di Fisterra c'era già. Quello di Santiago è venuto dopo, e per ragioni che vanno un po' al di là della fede dura e pura. La strada è lunga e se hai pazienza ci sarà tempo per pedalare tra questi e altri enigmi.
Un omaggio un po' trascendente, modesto ma convinto, lo vuol fare anche questa breve serie di articoli su tuttobiciwebtech. Dopo COSTUCOST (gli Usa da costa a costa) con un altro anglicismo artigianale s'è pensato di intitolare il viaggio TODS UEI.
Tod's Way, il cammino di Tod, somiglierebbe troppo a una pubblicità di scarpe di lusso, e il lusso poi non è cosa da ciclisti (non quelli come me). "Tod" era Pier Luigi Todisco, del quale fui collega per una parte dei miei 17 anni come giornalista della Gazzetta dello Sport.
Pier Luigi Todisco fece l'ultimo viaggio della sua vita su una bicicletta, un giorno d'autunno del 2011. Aveva 52 anni (come me tra qualche settimana). Aveva un bel lavoro, una bella famiglia, una bella passione anche per cose semplici, come andare in ufficio pedalando anziché contribuire a intasare la metropoli di gas, di rumore, di stress per sé e per il prossimo.
Credo che ogni singola vittima degli incidenti stradali meriti più attenzione da parte di tutti, anziché diventare parte di una statistica da tenere sotto controllo con qualche provvedimento qua, qualche campagna là, e tutto come prima, che il mondo ha fretta e "per essere competitivi sui mercati" bisogna correre, e poi al diavolo gli ecologisti con 'sta solfa della qualità dell'aria, eccetera.
No, qui la questione è molto più profonda. È una questione etica, prima ancora di ogni altra considerazione. Perché credo che una civiltà non è davvero tale quando non sa difendere i più deboli. E i ciclisti, per strada, sono i più deboli.
Non so se in viale Sarca, a Milano, c'è ancora la "ghost bike" che ricordava la perdita, tre anni e mezzo fa, del giornalista Pier Luigi Todisco. E del ciclista Pier Luigi Todisco. Avevo letto che quella ghost bike l'avevano portata via. Una bella iniziativa che forse non è durata o non durerà a lungo, ma non per questo è stata o sarà stata meno bella. Questa TODS UEI, nel suo piccolo, è una dedica con le stesse finalità.
Come dicono qui in Spagna: viejo Tod, esto va por tì.
Sergio Ghisleni
(1 - continua)