Parecchi quelli che si erano chiesti da dove spuntasse un fronte serio capace di dare credito alla candidatura di una persona seria come quella di Lino Secchi.
Un dirigente di indiscusso valore, esperienza, competenza, trasparenza e coerenza, in quantità tale da fargli meritare un monumento già da vivo. Che però è stato sempre tenuto “alla larga” e spesso osteggiato da chi ha diretto la Federazione dal 2005 ad oggi, salvo ogni tanto ricorrere ai suoi servigi per la sua conoscenza, ormai storica, della macchina federale e delle norme statutarie.
Si è mantenuto in vita, ciclisticamente parlando, solo per i suoi meriti, dal Pedale Chiaravallese alla vice presidenza nazionale, attraverso tanti anni da presidente del comitato regionale marchigiano.
In una ormai nota riunione bolognese, lo avevano spinto a credere che fosse possibile una candidatura alla presidenza nazionale della FCI di tipo per così dire istituzionale, con un sostegno trasversale, con l’obiettivo primo di riportare ordine, funzionalità ed efficacia ad una federazione al tempo stesso in grado di darsi progetti credibili e sani per la promozione e lo sviluppo del ciclismo nazionale.
Per amore del ciclismo e delle sue anime che lo compongono, Lino, forse anche per un comprensibile orgoglio di dare a se stesso il giusto riconoscimento, ad un certo punto ha ceduto alla lusinga mettendosi a disposizione. E da par suo, sotto al nome di programma elettorale, ha elaborato uno straordinario piano di lavoro 2025-2029, di una competenza, profondità e serietà unica, che oltre ad applicarlo andrebbe discusso e insegnato in ogni sede in cui si pensi di formare nuovi dirigenti.
Può essere che almeno una parte degli iniziali sostenitori di questo progetto istituzionale avesse degli obiettivi sani in testa e che magari ancora li conservi, ma, come molti presagivano, la candidatura poteva pure risultare funzionale, o soprattutto, all’intenzione di “sparpagliare il voto” per evitare che un certo candidato, più nuovo, potesse vincere al primo turno. E quindi batterlo poi al ballottaggio con tutte le combine possibili, da quelle più meschine a quelle che illudono alcuni di essere stati protagonisti per il solo fatto di avere strappato in cambio qualche promessa per la propria regione, per l’una o l’altra causa, per questa o quella commissione.
Ma ahimè, alcuni significativi “audaci” che a Bologna avevano promesso a Lino un sostegno forte e sincero, un poco alla volta si sono ricreduti. Come accaduto altre volte, “annusando” meglio il peso delle varie candidature alla presidenza in campo, è possibile abbiano ritenuto più vantaggioso schierarsi prima dell’assemblea nazionale per essere protagonisti nello schieramento potenzialmente vincente, piuttosto che, al ballottaggio, trasformare i propri voti in una utile ma semplice “ruota di scorta”. Una abitudine e una rapidità nel cambiare gabbana, da fare invidia ai migliori indossatori.
Si può immaginare che taluni fossero convinti di andare fino in fondo con la candidatura Secchi, come altri invece di aver ingenuamente fatto conto su pacchetti di voti per nulla scontati. Si possono immaginare tante cose, ma sta il fatto che Lino Secchi, quando si è messo a fare il conto dei voti certi, ha capito che di certo c’era solo che i conti non tornavano. E rimanendone meno del previsto, era per lui più dignitoso ritirarsi piuttosto che andare a Fiumicino per arrivare quarto. Arrivare ultimo con una candidatura di tipo istituzionale, si sarebbe rischiata la caricatura della propria persona, dei valori e dei propositi per cui aveva accettato di mettersi in campo.
Constatare che taluni, lo hanno illuso e poi ingannato, è una cosa che ferisce. Non solo lui, ma anche i tanti che lo stimano e che gli vogliono bene. Probabilmente anche tra quanti non l’avrebbero votato.