Ora che non c’è più Sante Gaiardoni, grandissimo velocista e pistard, due medaglie d’ oro alle Olimpiadi di Roma del ‘60 e un iride da professionista nel 1963, finisce davvero per noi quel lungo sabato dell'infanzia.
Diventa un autunno senza fondo, per noi ragazzini che aspettavamo a Napoli la Festa del Primo Maggio, onore ai lavoratori, per il giorno di festa da scuola, e specialmente quell'anno li - 1960, displuvio fra infanzia e giovinezza -, perché c’era l'occasione tanto agognata, e tanto strappata alle cronache de 'Il Mattino', di poter applaudire sul lungomare Caracciolo i grandi campioni del ciclismo su pista. Già, quella disciplina vagabonda, di velodromo in velodromo, nomade e rutilante, allora tanto popolare oggi al massimo romantica, che incendiava i cuori e gli sguardi, fra surplace e testa a testa, fra rush finali ed inseguimenti dal rettilineo opposto a quello giusto: a Napoli nostra, e vostra, la Villa Comunale e la Rotonda Diaz a fare da testimoni.
C'erano tutti, quell'anno, alla Riunione tipo Pista promossa a Napoli dal cavaliere Giuseppe Improta, tutti, un recital come a un festival: l'autoritario Derksen, il ruvido Plattner, il funambolo Gaignard, veniva dal circo, il mite Sacchi, l'irriducibile Faggin, il fascinoso Ogna, l'imperturbabile De Bakker...
Ma tutti, innanzitutto, e noi bambini in prima fila, eravamo a sgaiattolare fra le transenne, si aspettava emozionati ed avvinti alla carezza del sogno, quel duello gentile, ma mica tanto però, fra Antonio Maspes, il divo antico, campione del mondo in carica, e Sante Gaiardoni, l'astro nascente, un dilettante destinato alle Olimpiadi, senza timore alcuno.
E ricordiamo ancora, sono passati 63 anni senza sconti, la singolare lezione di vita che ci fu impartita allora. Noi che tifavamo scamiciati Maspes, "vaiiii, Maspes", ed un signore altezzoso con il cappello, come si usava allora, che ci apostrofò severo, «ragazzino, ma perchè mai tifi Maspes, che è uno straniero, e non invece Gaiardoni, che è un italiano?».
Come se a Napoli, e in Italia, e nel mondo, il Primo Maggio, Festa del Lavoro solidale, anche un cognome tronco bastasse, erroneamente, a sancire una diversità. O una estraneità. O una ostilità. In uno sport poi come il ciclismo, dove si può essere avversari, ma stranieri mai.
Ricordammo questo episodio un giorno ad Antonio Maspes, ma non abbiamo mai avuto l'occasione per farlo, in vita, con Sante Gaiardoni. Lo facciamo ancora oggi, postumo, oggi che la primavera del nostro Primo Maggio in una Napoli non milionaria, con il congedo di Gaiardoni, tramonta per davvero.
Dicendo che anche a lui, in verità, e non solo a Maspes volevo bene. Come a tutti i ciclisti eroici di quella carovana, d'altronde e non soltanto. Anche io, il 1 maggio del 1960, e non solo quel signore napoletano benpensante, dal cappello distinto.
foto da Beni Culturali - Regione Lombardia