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BALSAMO. LA PRIMAVERA DELLA REGINA ELISA
di Giulia De Maio | 29/04/2022 | 08:10

È la ciclista più forte del mondo. Lo dice chiaramente la maglia iridata che indossa, lo dimostrano le vittorie a raffica che ha centrato in questo avvio di stagione. Dopo essersi aggiudicata all’esordio con la Trek Se­ga­fredo la tappa inaugurale della Set­timana Valenciana, in soli 8 giorni Eli­sa Balsamo ha vinto il Trofeo Binda, la Brugge-De Panne, la Gand-Wevelgem e tempo che la rivista che la vede in co­pertina andrà in rete e in stampa, potrebbe au­mentare il suo bottino.

Con apparente semplicità la pianista cuneese le sta suonando alle avversarie, dominando il ciclismo mondiale. Modi gentili ma istinto da killer, dentro e fuori la corsa si sta dimostrando una leader decisa e che non fallisce nemmeno un colpo. In una parola: campionessa.

Completato un tris fantastico e in vista delle prossime Classiche, nelle quali nonostante la giovane età a questo pun­to parte con i favori del pronostico, la regina del movimento femminile ci porta alla scoperta del suo mon­do, in cui la bici è protagonista insieme a tan­te altre passioni. Dalla letteratura alla musica, dal parapendio al giornalismo.

Quel mondo in cui tra covid, guerra e lutti crescere sereni sembra impossibile, ma ci si prova tra un esame all’università e un nuovo traguardo sportivo da conquistare con tutte le proprie for­ze. Quel mondo in cui, anche se primeggi, i quotidiani sportivi del tuo pae­se non ti dedicano nemmeno una breve in prima pagina perché lo spazio è tut­to per la Nazionale di calcio che il mondiale ancora una volta lo vedrà con il binocolo. Tu lo hai vinto ben due vol­te e chissà quanti altri arcobaleni ti riserverà il futuro. Magari un mondo migliore di quello che a 24 anni affronti a testa alta, con un bel sorriso sulle labbra, una chioma di capelli ricci che il casco fatica a contenere e una forza a cui tutte e tutti sembrano destinati a inchinarsi.

Com’è stato salire sul podio di Wevelgem con la GOAT Marianne Vos e un’amica come Maria Giulia Confalonieri?
«Sono contentissima per il risultato ottenuto da Mary, condividere con un’amica un traguardo così prestigioso è un valore aggiunto. Corriamo per squadre di club diverse, ma siamo en­trambe poliziotte delle Fiamme Oro e in maglia azzurra tra strada e pista abbiamo vissuto tante esperienze insieme, alcune davvero da so­gno. Già arrivare seconda alle spalle della Vos è “tanta roba” ma batterla è ancora meglio (sorride, ndr). Ci ero già riuscita in maglia azzurra a Lovanio lo scorso 25 settembre quando ho realizzato il sogno di conquistare il campionato del mondo, ripetermi davanti alla greatest of all time vale molto. Marianne è sempre molto sportiva e per me è un modello anche per questo. Bisogna sa­per accettare anche le sconfitte, la sua correttezza e il suo carattere sono un esempio da seguire».

Nella corsa maschile Biniam Girmay è diventato il primo africano a vincere una Classica.
«Dopo le premiazioni ci siamo incrociati, ci siamo stretti la mano e fatto i complimenti a vicenda. Ha scritto una bellissima pagina per il ciclismo, un pezzetto di storia. In vista dei mondiali del 2025 in Ruanda ha lanciato un messaggio importante, che sicuramente avrà fatto breccia nel cuore di tanti giovani».

Vittoria dopo vittoria stai dimostrando di essere la più forte al mondo.
«Ho sorpreso anche me. Non ho mai pensato alla maglia viola di leader del World Tour, me la sono ritrovata ad­dosso in conseguenza dei successi che ho ottenuto e, ribadisco, sono stati frutto del gioco di squadra. Più che il mio rendimento, trovo incredibile che campionesse co­me Elisa Longo Borghini, Ellen van Dijk e altre fortissime compagne si mettano a mia disposizione. Di solito serve un po’ di tempo per ambientarsi in una nuova squadra e invece mi sono inserita benissimo. Per quanto riguarda il World Tour, mi fa piacere essere in testa e so che sarà difficile restarci fino alla fine dell’anno. È più probabile che la spunti una scalatrice visto che i grandi giri danno tanti punti ma intanto cercherò di mantenere il primato il più possibile».

Si dice che la maglia iridata non porti be­ne. Non sembra il tuo caso.
«Sicuramente è “pesante” da indossare, sento la differenza rispetto alle stagioni scorse soprattutto prima e dopo le gare. Durante no, perché quando vai a tutta non ricordi nemmeno che colore ha la divisa che indossi. Non passo inosservata, ma ci sto prendendo gu­sto. Mi sto abituando alla folla alle partenze, alla richiesta di foto e autografi, agli appuntamenti che si moltiplicano. Essere in una grande squadra mi aiuta a gestire meglio l’altra faccia della me­daglia: più pressione, più responsabilità, più impegni. Sono circondata da persone che mi stanno aiutando nel migliore dei modi a mantenere il mio equilibrio».

Come è messo oggi il mondo?
«Durante i lockdown per limitare il contagio da covid pensavo che stessimo già vivendo un periodo piuttosto difficile, ora che sembra che stiamo uscendo dalla pandemia è scoppiata la guerra in Europa. Sono dispiaciuta ol­tre che per tutte le persone coinvolte dal conflitto armato, anche per coloro che ne pagano le conseguenze indirettamente. Dal punto di vista atletico penso ai ragazzi e le ragazze che si sono preparati al meglio e ora non possono competere. Lo sport è tradizionalmente messaggero di pace, spero che anche in questo caso possa veicolare felicità e tranquillità, ne abbiamo tutti bisogno. Quando ho vinto il mondiale in tanti mi hanno detto grazie per l’emozione che ho trasmesso in un momento in cui non potevano fare tan­te cose: uscire, lavorare, viaggiare. Ho sentito di aver portato speranza».

E il “nostro” mondo come lo vedi? Quello del ciclismo femminile è in costante crescita.
«Da quando ho vinto il mondiale junior nel 2016 il movimento è cresciuto molto. Non abbiamo ancora la Sanremo, ma le gare sono in au­mento e l’attenzione nei nostri confronti cresce. Generazioni di ragazze hanno lottato per ottenere riconoscimenti importanti e noi continuiamo a farlo, ma sento di essere arrivata nel­la massima categoria proprio negli anni del passaggio decisivo. A questo punto tutto dipende dalla visibilità. La gente non può appassionarsi ad uno sport che non vede in tv, quindi speriamo di avere sempre più dirette delle nostre gare e che i giornalisti diano risalto alle nostre storie, alle quali è riservato an­cora troppo poco spazio. Trovo triste dover sfogliare dall’ultima pagina i quotidiani sportivi per trovare il ciclismo e dover cercare proprio bene se voglio leggere qualcosa del femminile. Mi dispiace che il giorno dopo la vittoria mia o di un’altra ragazza italiana ci venga dedicato un trafiletto striminzito mentre in Belgio, dove il ciclismo è religione, o in altri paesi in cui lo sport femminile è considerato alla pari di quello maschile ci dedicano pagine intere. Al Tro­feo Binda, gara di World Tour il podio è stato interamente tricolore. Da inizio stagione di spunti per scrivere di noi ne abbiamo dati, eccome. Continueremo a fornirne, speriamo vengano colti».

Del tuo mondo invece chi/cosa fa parte?
«La mia famiglia, in primis Davide (Plebani, compagno di vita e Na­zio­nale che, come lei, si divide tra strada e pista, ndr). Senza di lui sono sicura non avrei raccolto tutto quello di cui stiamo parlando. Abitiamo insieme a Sarnico, sul lago d’Iseo, e ci completiamo in modo perfetto. Altrettanto fondamentali sono i miei genitori. Papà Sergio e mamma Silvia mi hanno trasmesso la passione per la bicicletta e non sono mancati né a Cittiglio né in Belgio. Ormai nella patria del ciclismo vengono riconosciuti anche loro e han­no imparato a pronunciare correttamente il nostro cognome, facendo ca­dere l’accento sulla prima e non sulla seconda a. Non potrei fare a meno an­che degli amici più stretti e delle figure con cui lavoro da anni. Non sono solo collaboratori, ma persone fondamentali. Ognuna sa quanto è preziosa per me. E poi ci sono le letture, il mio libro preferito è Novecento di Baricco, e le esperienze con cui riempire il tempo libero. In autunno ho provato il parapendio, mi è piaciuto così tanto che appena atterrata mi sono fatta riportare su per rifarlo. Sono un po’ spericolata, se così non fosse non potrei buttarmi in volata».

Dove tieni trofei, maglie e medaglie?
«A casa e dai miei. Non mi piace esporre troppo i miei cimeli. La bici con cui ho vinto il mondiale l’anno scorso nelle Fiandre vorrei appenderla su una parete in salotto, come un quadro, ma per ora è nell’armadio».

Cosa non può assolutamente mancare nella tua valigia?
«Due peluche a cui sono particolarmente legata: una piccola Pocahontas che mi ha regalato Davide, dice che gliela ricordo perché ho i capelli come lei e infatti non avete idea di che incubo sia farli stare dentro al casco da cronometro, e un orsetto che ho da quando sono nata».

Nella tua preparazione stai mantenendo sempre un allenamento in pista a settimana?
«Sì, a parte in questi giorni che sono pieni di gare e trasferte, da quando ci hanno permesso di ritornare a girare al velodromo di Montichiari non ho mai mancato l’appuntamento. Lo trovo utile non solo per arrivare pronta alle Coppe del Mondo (parteciperà alle prime due tappe, ndr) ma anche per la strada. Il CT Marco Villa è molto de­terminato: ha intenzione di portarci in alto come è già riuscito a fare con i ragazzi. Io sono fiduciosa. I Giochi Olimpici di Parigi2024 sono ancora lontani ma con le altre azzurre faremo tante prove e ci impegneremo al massimo».

Lizzie Deignan è incinta del secondo figlio e la Trek Segafredo le ha rinnovato il contratto. É bellissimo, ma nel 2022 fa ancora notizia.
«La squadra guidata da Luca Guercile­na si è dimostrata molto avanti sui tempi. Fin da quando è nata, in termini di organizzazione, stipendi, premi è stata un’apripista. La maternità per le sportive è un argomento complesso, io ora come ora non ci penso, ma è giusto che le donne siano tutelate e che chi desidera metter su famiglia non debba aspettare di porre fine alla propria carriera. Rientrare dopo il parto immagino sia tutt’altro che facile, bisogna es­sere davvero determinate, come è stata Lizzie già una volta, una campionessa che è riuscita a tornare persino più for­te di prima».

Come avete reagito invece quando Ellen van Dijk ha ricevuto in premio dei sex toys dopo aver vinto una cronometro in Olanda?
«Sinceramente l’abbiamo presa sul ri­dere, soprattutto le colleghe straniere l’hanno vissuta in modo leggero, come un tabù che nel 2022 è giusto venga sfatato. Alla fine si trattava dei prodotti di uno sponsor che ha permesso di or­ganizzare la gara e ha raggiunto ottimamente il suo obiettivo, farsi pubblicità. Ha dato dei soldi a una società che ha potuto organizzare una corsa a tappe per noi preziosa. Non ci abbiamo visto volgarità o mancanza di rispetto, così come quando riceviamo elettrodomestici o qualunque altra cosa. Non gli diamo un peso simbolico, ma quello effettivo ossia di un’azienda che investe nel ciclismo femminile: qualunque cosa produca per noi è un vantaggio».

Hai centrato già parecchi obiettivi, quali hai ancora nel mirino?
«Dopo questa stupenda primavera, desidererei conquistare una tappa al Giro e al Tour ed entro la fine dell’anno voglio portare a casa la laurea in Let­tere moderne e contemporanee all’Università di Torino. Mi manca un solo esame, quello di Filologia latina. Penso già di iscrivermi alla magistrale, intanto sto lavorando alla tesi. Ana­lizzerò le differenze linguistiche tra due diverse edizioni del romanzo d’esordio di Testori, Il dio di Roserio. Il ciclismo ovviamente c’entra. Si parla di corse, ambizioni, vittorie, sconfitte. Insomma, della vi­ta».
E del mondo, imperfetto ma unico.

da tuttoBICI di aprile

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