Top e flop. Target e step. Gap e tag. Trip e trend. Mission e ambassador. New gen e save the date. Parole inglesi usate in italiano come se fossero intraducibili. Poi ci sono anche i verbi inglesi italianizzati, da resettare a spoilerare, compreso googolare (o googelare, a seconda delle influenze dialettali). Infine ci sono addirittura le espressioni inventate dagli italiani in inglese, come smart working, che per inglesi e americani sarebbe remote job o home working.
Il dolce stil novo è diventato obsoleto, anzi, old style, anzi, vintage. Meglio ignorare i congiuntivi ed esibire vocaboli inglesi pronunciati spesso in un modo che, al confronto, Nando Moriconi (l’americano a Roma di Alberto Sordi) suona scespiriano.
Gli anglicismi esasperati dilagano anche nel ciclismo: bike per bicicletta, team per squadra, l’acronimo gc per classifica generale, fino a pink jersey invece di maglia rosa. E pensare che l’italiano era la lingua del gruppo. E pensare che gli stranieri amano ancora usare il gergo ciclistico degli italiani, da gregario a gruppetto, da ammiraglia a volata. E pensare che c’è un’azienda, con basi negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, specializzata in viaggi in bicicletta, che si è italianamente battezzata inGamba. Invece da noi, con sede a Ciampino, una squadra si è chiamata Cycling Cafè Racing Team dopo la scissione con Il Biciclo Team New Limits.
La verità è che non ci sono limiti, anzi, no limits. Passi per la categoria open, che pure potrebbe tranquillamente essere tradotta in aperta. Ma che dire di challenge, che equivale a sfida o a gara? Passi per mountain bike, quasi meglio di rampichino. Ma che dire di city bike, forse fa vendere più di bici da città? Passi per brandy, la bevanda alcolica. Ma che dire di brand invece del nostro marchio? Passi per il nostro Tuttobiciweb, tutto sommato meglio di Tuttobicirete. Ma che dire di celebrity? Il massimo lo si raggiunge con l’espressione made in Italy, cioè tutti i prodotti creati e fabbricati in Italia, sistematicamente promossi in inglese.
Ne parlavo l’altro giorno con un vecchio amico giornalista. Non so se più divertiti o amareggiati, sparavamo una serie di inutili anglicismi abusatissimi, anzi, trendy e fashion. Poi è cominciata la conferenza-stampa. E qui il relatore, un altro giornalista nonché figlio del mio vecchio amico, ha inaspettatamente proferito la parola community. Con la coda dell’occhio (non osavo guardarlo spudoratamente in faccia), ho visto che il mio vecchio amico si piegava in due, dolorosamente vinto, affranto e rassegnato.
Proprio così: non ci si può fidare più di nessuno. Sono stato tradito perfino da una delle case editrici che pubblicano i miei libri. Nel comunicato-stampa di lancio, la novità letteraria “Raggi di design” (passi per il design) è stata definita “coffee table book”. Ho inviato un messaggio (a stento sono riuscito a trattenermi dallo scrivere whatsapp) al mio amico editore confidandogli che da lui non me lo sarei mai aspettato, e lui mi ha risposto “la vita riserva continue sorprese!”. Colgo l’occasione per ringraziarlo ufficialmente per non aver usato surprise o astonishment.
In attesa di cedere alla Three Varese Valleys e crollare al Tour of Italy, esalando l’ultimo respiro magari davanti a una bici Whites, stringo i denti e tiro avanti. Anzi, keep going.