Due figli. Desiderati, voluti, cercati. Cercatissimi. Non programmati. Eppure tutti e due nati lo stesso giorno, il 10 dicembre: nel 1980, Paolo; e nel 1991, Elisa. Un gran bel giorno, a pensarci, il 10 dicembre: è il giorno in cui (dal 1948) in tutto il mondo si celebrano i diritti umani; è il giorno in cui (nel 1847) debuttò l’Inno di Mameli; è il giorno (uno dei giorni) in cui si consegnano i Premi Nobel; volendo, è anche il giorno di una poetica e umanitaria iniziativa, quella del caffè sospeso.
Guidina Dal Sasso è stata, anzi, è un bell’esempio. Da atleta, tre Olimpiadi e sei Mondiali nello sci di fondo, un oro mondiale e tre europei nello skiroll, un bronzo nella corsa in montagna, 11 titoli italiani nello sci di fondo, cinque vittorie nella Marcialonga, solo per citarne alcuni dei suoi diamanti, e se non ci fosse stata Maria Canins il suo scrigno sarebbe scoppiato di medaglie. Da politica: consigliere comunale e assessore provinciale. E soprattutto da mamma: la mamma di Paolo ed Elisa Longo Borghini. Invisibile, eppure presente. Riservata, eppure forte, salda, solida.
Guidina, mamma già a 21 anni. Presto?
“Quasi 22. Ma non mi vedevo donna senza figli. Erano la mia priorità. Paolo arrivò subito. Sospesi lo sport, poi ricominciai. Elisa giunse in ritardo. Arriverà quando arriverà, ci dicevamo, io e Ferdinando. Anche in questo caso, sospesi lo sport, poi ricominciai. Avevo partecipato ai Giochi di Sarajevo 1984 e Calgary 1988, saltai quelli di Albertville, ripresi da Lillehammer 1994. Ma non persi nulla: perché Elisa ci avrebbe poi regalato una medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Rio de Janeiro 2016. E fu emozionantissimo”.
Ferdinando allenatore e skiman, lei campionessa, due figli atleti di alto livello. Destino?
“Li abbiamo spinti verso lo sport, mai verso quello agonistico. Lo sport è educazione, conoscenza, esperienza. Quello agonistico è anche fatica, sacrifici e rinunce. Rispetto allo sci di fondo, il ciclismo mi sembrava pericoloso. Ma era quello che Paolo ed Elisa desideravano fare. E li ho lasciati fare. Fino a diventare, in silenzio, in disparte, la loro prima tifosa”.
Com’era Elisa da piccola?
“Allegra, contenta, solare. E addosso l’argento vivo. Mai ferma. Giocava. E andava in bici come tutti. Quel senso di libertà, autonomia, avventura. E Paolo, 11 anni più di lei, ha sempre avuto verso di lei un senso protettivo. Da sempre, da subito. In ospedale, fuori dalla sala parto, c’era lui. E commentò: ‘Sono diventato fratello’. Invece Ferdinando si trovava negli Stati Uniti per la Coppa del mondo, e l’annuncio gli giunse con un fax, fra un trasferimento e l’altro”.
I migliori atleti sono quelli orfani, si dice. Esagerazione? Provocazione?
“I genitori devono dare gli strumenti, i figli devono imparare a usarli. Musica, arte, scrittura, anche lo sport. Qualcosa starà anche nel dna, ma molto, moltissimo, sta nella pratica, nell’allenamento, e nella costanza, nella dedizione. La forza di Elisa sta nella volontà. Tutto quello che ha ottenuto è soltanto merito suo, oltre che della collaborazione con Paolo Slongo, un uomo e un tecnico davvero speciale. Noi genitori abbiamo dato principi morali, fondamentali: valori come l’amicizia, l’aggregazione, la lealtà, l’onestà, il rispetto per gli altri, se stessi, le regole. Elisa ha contribuito con la serietà, il rigore, la disciplina, soprattutto voglia e volontà, senza mai mollare nelle difficoltà, che pure ci sono state”.
Lo sport migliora una persona?
“Non solo. Meglio una persona perbene che un campione. Ma quasi sempre un campione è una persona perbene. Penso a Jannick Sinner: lui è campione durante i match, ma anche dopo, quando ringrazia il pubblico ed esalta l’avversario”.
Elisa e le cicliste, ma anche le sciatrici, le schermitrici, le pallavoliste, le nuotatrici… In Italia lo sport è donna?