Strade Bianche 2024. Iscritti 175, partiti 175, ritirati 66, arrivati 109, nel tempo massimo 105, fuori tempo massimo 4. Ha vinto Pogacar. Tutti gli altri – dal secondo, Skujins, all’ultimo, Sheehan – hanno perso? Hanno perso anche i quattro corridori giunti fuori tempo massimo? E hanno perso anche quei 66 che sono stati costretti o che hanno preferito abbandonare?
La storia è scritta da chi vince. Nel ciclismo, dal primo nell’ordine d’arrivo e dal primo nella classifica generale. Nella Strade Bianche 2024, da Pogacar. Ma anche Skujins, ma anche Sheehan, a loro modo, non hanno vinto? Ma anche Hvideberg, Conci, Lopez e Pietrobon, giunti fuori tempo massimo, a loro modo, non hanno vinto? E siamo certi che, sempre a loro modo, non abbiano vinto anche quei 66 che al traguardo sono arrivati su un’ammiraglia o sul camion-scopa?
Andrea Muzzi ha scritto “I fuoriclasse della sconfitta” (Sarnus, 88 pagine, 8 euro), 17 brevissime storie di apparenti, discutibili, storiche sconfitte più una, la diciottesima, autobiografica. Da Trevor Misipeka, pesista samoano di 120 chili iscritto per errore ai 100 metri dei Mondiali di atletica, era il 2001, a Eric Crumble, pugile statunitense, tra il 1990 e il 2003 protagonista di 32 incontri, 31 sconfitte, tutte prime del limite, e un no contest, cioè un match in cui i giudici non si sono sentiti di prendere una decisione. Dalla nazionale giamaicana di bob, iscritta alle Olimpiadi Calgary del 1988, che con la neve aveva scarsa confidenza, all’Excelsior, squadra di calcio di Bolzano, che in 12 anni di partite le ha perse tutte tranne tre. Da Eric Moussambani, della Guinea equatoriale, stileliberista ai Giochi olimpici di Sydney 2000, che sei mesi prima della gara non sapeva neppure nuotare, a Khalid Askri, portiere di calcio marocchino, protagonista di papere spaziali.
E il ciclismo? Francesca Corrado, nella prefazione, cita Vittorio Seghezzi: “Correvo come gregario di Gino Bartali che vinse il Tour del 1948. Era il mio idolo. Quando lui vinse, io pedalai per 42 chilometri con la sella in mano. Nella tappa Losanna-Mulhouse mi si ruppe il pedale ma ho continuato la gara per altri 80 chilometri con una sola gamba. Non c’era niente che potesse fermarmi”. Corrado commenta: “Quando pensiamo al ciclista lo immaginiamo come un uomo solo, un lupo solitario intento a ingranare la prossima pedalata, con il solo obiettivo di vincere la corsa. Ma la verità è che la grande parte dei ciclisti corrono sempre per non vincere mai”.
Non è tanto vincere o perdere: quella è una statistica, un record. Non è tanto battere o essere battuti: quello è un verdetto, una fotografia. Ciò che conta è sfidare se stessi. E nello sport si fa, si può fare. Da soli o in una squadra, in gara o in allenamento, con convinzione ma anche con leggerezza, grazia, spirito. Muzzi sa come scriverlo: “Il caso volle che fossi l’unico bambino in tutta la provincia di Grosseto ad essere bocciato in prima elementare. Il caso volle pure che un giornalista della cronaca locale della Nazione non sapesse cosa scrivere. Et voilà; il giorno dopo sul giornale apparve un trafiletto con il seguente titolo: ‘L’unico bambino bocciato in prima elementare’. Accanto al titolo c’era una mia foto in cui sorridevo con il grembiule nero”. Nero, come la maglia nera di Luigi Malabrocca.