Quel giorno Francesco Moser seppe fermare il tempo in uno spazio ben definito. Fermò i cronometri allo scoccare dell’ora dopo aver percorso la bellezza di 51 chilometri e 151 metri. Quel record dell’ora passò in un nano secondo dalla cronaca alla storia. Pensava che prima o poi qualcuno sarebbe riuscito a fare meglio di lui, come del resto avvenne (1993, Graeme Obree, 51.596, ndr), ma per un po’ ebbe la sensazione non solo di essere un superuomo ma di essere riuscito davvero a fermare il tempo. «Invece non l’ho fermato – racconta oggi a tuttobiciweb il 72enne fuoriclasse trentino -. Sono trascorsi quarant’anni dal quel magnifico 23 gennaio 1984 e francamente mi sembrano letteralmente volati. Come incredibile mi sembrò quel volo in sella alla mia bicicletta ad asse variabile, incredibile mi sembra oggi il tempo che è trascorso».
Un record che fece epoca e che di fatto cambiò per sempre il corso della storia del ciclismo, portandolo in una nuova dimensione, quello della ricerca applicata allo sport. Per alcuni un viaggio ardito e carico di dubbi, per altri un percorso verso il futuro. Una cosa è certa: da quel momento in poi, nel mondo del ciclismo nulla è stato più come prima.
È stato davvero un uno-due da KO: due record nel giro di quattro giorni che hanno cambiato la storia del ciclismo.
«Il primo record, quello del 19 gennaio, doveva essere per tutti noi solo un test sui 20 km, anche se la fiducia era alta, perché il lavoro svolto era tanto e io stavo benissimo. Se il cronometro ci avesse dato indicazioni positive si sarebbe andati “por la hora!”, fino alla fine. Il limite da superare era quello stabilito il 25 ottobre del 1972 da Eddy Merckx: 49,432 percorsi in un’ora su una bicicletta specialissima di appena 6 kg costruita da quel mago di geometrie che risponde al nome di Ernesto Colnago. Quattordici anni dopo lo miglioravo portando il limite per la prima volta nella storia oltre ai 50 km: 50,508, per la precisione. Il secondo tentativo, quattro giorni dopo, per onorare i tantissimi tifosi italiani che erano in viaggio e non avevano potuto assistere al primo tentativo. Fu un trionfo esaltante e stordente. Un viaggio pazzesco che prolungò di fatto una carriera che per me era già in pratica chiusa».
Per lei fu davvero una scommessa.
«È stato proprio così. Come le ho detto a 33 anni non era facile reinventarsi, soprattutto per uno come il sottoscritto che ormai non era più giovanissimo e si era abituato a certi tipi di allenamenti. Ma fondamentale fu l’apporto dell’équipe scientifica della Enervit di Paolo Sorbini: grazie a loro cambiai drasticamente i metodi di preparazione e alimentazione: fummo i primi a introdurre aminoacidi ramificati e gli integratori. Grazie al professor Antonio Dal Monte, mutammo anche la concezione di bicicletta, stravolgendola: asse variabile, manubrio a corna di bue e ruote lenticolari. Oltre all’utilizzo per la prima volta dei cardiofrequenzimetri e all’introduzione di concetti di aerodinamica e di galleria del vento che fino a quel momento nel mondo della bicicletta non erano mai stati utilizzati. Fu davvero una rivoluzione».
Cosa ricorda di quei giorni?
«Il desiderio di provarci, di mettersi in gioco, malgrado intorno qualche gufo…».
Quelli non sono mai mancati.
«L’invidia è il primo nemico da affrontare, sempre».
Fu seguito da numerosi scienziati, di ben quattro Università: tra loro il già citato professor Antonio Dal Monte, ma soprattutto il discusso professor Francesco Conconi.
«Per me due persone eccezionali, che programmarono tutto alla perfezione. Per quanto mi riguarda il professor Conconi resta uno scienziato».
Polemiche nate per la pratica dell’emotrasfusione che dopo i Giochi di Los Angeles 1984 furono anche vietate dall’organismo mondiale della bicicletta.
«In quella circostanza, mi creda, nessuno trasgredì le regole».
Un record che però fu proposto prima a Beppe Saronni.
«Sì certo, ma lui rifiutò. Devo sentirmi forse in colpa?».
Poi però l’Uci, qualche anno dopo, quel record lo catalogò come “miglior prestazione umana”, togliendolo di fatto dai record assoluti, che oggi devono essere fatti con bicicletta tradizionale.
«Un provvedimento folle, anche perché le ruote lenticolari e i manubri particolari sono invece consentiti nelle cronometro su strada».
Ganna è il primatista mondiale dell’ora, che cosa gli consiglierebbe di fare?
«Premesso che Filippo è un ragazzo eccezionale e lui e il suo staff sanno perfettamente cosa fare, io spero che dopo i Giochi di Parigi si dedichi di più alla strada. Filippo ha tutto per vincere anche qualche bella classica Monumento, come la Sanremo (2° un anno fa, ndr) e la Roubaix. Prima però, migliori il suo record: così lo mette al sicuro».
Scusi, ma dopo anche le recenti polemiche e punzecchiature, con Saronni vi siete mai chiariti?
«Ci siamo visti, ma non chiariti del tutto. Siamo troppo diversi ed è meglio che ognuno di noi continui a fare la propria vita serenamente. Diventare Amici? Sarebbe un’impresa: più difficile che fare un record».
da Avvenire del 18 gennaio