Marc Augé era un antropologo etnologo sociologo filosofo, insomma un intellettuale, innamorato della bicicletta. Francese di Poitiers, è morto ieri, come se avesse aspettato di vedere anche l’ultima tappa del Tour de France. Aveva 87 anni.
Nel 2008 Augé aveva scritto “Eloge de la bicyclette”, pubblicato in Italia nel 2009 come “Il bello della bicicletta” (Bollati Boringhieri). Un saggio in cui spiegava come la bicicletta sia “mitica, epica e utopica”. E’ mitica perché “rinvia al nostro passato mitico: siamo tutti andati in bicicletta da adolescenti”; mitica anche perché “è associata a grandi eventi sportivi avvenuti nel tempo e che hanno mosso l'attenzione di popoli interi”; ed è, quello della bicicletta, un mito ben radicato “come tutti i miti nella esperienza quotidiana di ciascuno, perché permette di riallacciare con il passato e l’ideale”. E’ epica “perché ha visto affrontarsi campioni in duelli che erano appassionanti almeno quanto le storie dell'Iliade”. Ed è utopica perché “se tutti andassimo in bicicletta, si cambierebbe il mondo in meglio”.
Per avvalorare le sue tesi, Augé collegava la bicicletta alla storia (dopo la Seconda guerra mondiale “la bicicletta, strumento indispensabile per i più poveri, ma anche simbolo di sogno ed evasione, esprimeva l’ambivalenza di una situazione in cui le sofferenze del presente si misuravano ancora con le promesse del futuro”), anche al cinema (“’Ladri di biciclette’, del 1948, primo capolavoro del neorealismo italiano”) e allo sport (Fausto Coppi, “l’eroe perfetto di cui parlerà Barthes: il campione sognato da generazioni di persone perché incarnava allo stesso tempo il coraggio, l’intelligenza, il talento e la sfortuna”).
In alcune interviste Augé ribadì le virtù della bicicletta, come “il recupero della memoria”, “la sperimentazione del corpo”, “l’esercizio della libertà”. E come quello che lui riteneva il valore forse più importante della bicicletta: “Riscoprire e ridisegnare le dimensioni di spazio e tempo”, perché “ci vuole tempo per spostarsi”, perché “obbliga a penetrare il tempo, a darsi tempo e a riscoprire la consistenza del tempo”, proprio “nell’età della istantaneità, quando si tende a cancellare il passato, non programmare il futuro e ridurre tutto a un presente eterno”. Inoltre, “la bicicletta diventa così simbolo di un futuro ecologico per la città di domani e di un’utopia urbana in grado di riconciliare la società con se stessa”.
Secondo Augé, la bicicletta (“La sola parola ‘bicicletta’ trasmette allegria”) è uno strumento sociale (“Perché spesso si pedala in gruppo o in compagnia e comunque in bici non si è mai davvero soli”), aiuta a rapportarsi “con gli altri e con il territorio”, a ritrovare “sensazioni e identità”, perfino a “creare un luogo in un non-luogo”, sapendo che i non-luoghi sono tutti quegli spazi costruiti per scopi specifici come trasporto, transito, commercio e tempo libero, e sono anche quei rapporti nati fra questi spazi e gli individui.
Quindici anni dopo, le intuizioni di Augé sono diventate convinzioni sociali, economiche e addirittura culturali, confortate da un uso sempre più diffuso della bicicletta nelle città, nei viaggi, nello stile di vita. E la rivoluzione – a due ruote - continua.