Non ne ha fatto una tragedia, anche se la sua caduta sportivamente parlando è stata davvero una jattura. Vincenzo Nibali è stato, senza ombra di dubbio, simbolo e manifesto di come uno sportivo si dovrebbe comportare anche nella malasorte: accettando anche il destino baro e beffardo. Ma il Tour, quel giorno, ha certamente subito un duro colpo alla propria credibilità ultracentenaria.
I fatti. Si corre la tappa numero 12. È il 19 luglio, siamo ormai a 4 km dal leggendario traguardo posto in cima all’Alpe d’Huez, Vincenzo si trova ad essere in compagnia della nobiltà del Tour, con la maglia gialla Geraint Thomas, Chris Froome, Romain Bardet e Tom Dumoulin. La situazione è incandescente e non solo per il gran caldo di fine luglio. Spettatori scatenati, fumogeni e trombe bitonali, bottiglie di birra e fumo rendono la strada verso l’infinito cielo della gloria una bolgia infernale. Il problema è che di lì a poco il siciliano finisce per le terre.
Il motivo della caduta sembra inizialmente essere una moto della polizia, in realtà lo Squalo finisce per agganciare con il manubrio la tracolla di una macchina fotografica, appartenente a un tifoso. Vincenzo picchia pesantemente la schiena. Risale in bici e medica la situazione contenendo il distacco in soli 13”: capolavoro. Il problema non è però nell’immediato, ma dopo. Quando la fatica scompare, il dolore toglie il respiro al siciliano. Il responso è spietato: frattura della decima costola toracica. Fine del Tour, inizio di un calvario fatto tutto in rincorsa. Un inseguimento folle ed estenuante per provare a non mandare a monte tutta una stagione e, soprattutto, provare a correre quel mondiale che al siciliano piace un sacco.
Questa la cronaca di una corsa, di un incidente e della conseguente rincorsa. Una sfida contro il fato e il destino, spesso beffardo e cieco. Poi però c’è il Tour, il massimo evento ciclistico sul globo, uno dei più importanti eventi sportivi del mondo, messo brutalmente in crisi e a più riprese da falle grossolane e superficialità.
In verità il Tour avrebbe un grande vantaggio a differenza del nostro beneamato Giro. Per i francesi la Grande Boucle è un evento di Stato, una manifestazione che è in sostanza diretta espressione di una nazione. Il Giro è invece questione privata, della Rcs Sport, che spesso si trova a dover fare gran parte del lavoro tutto da sola. Questo, chiaramente, è considerato spesso un handicap, ma anche stimolo a prestare grandi attenzioni a tutta la macchina organizzativa. Il Tour ha il Ministero degli Interni che gli dà una mano, che supporta e come accaduto quest’anno, complica però le cose. Il Giro può contare su volontari preparatissimi e l’insostituibile prezioso lavoro e contributo degli uomini della Polstrada, che da anni seguono la corsa rosa e tutte le manifestazioni targate Rcs Sport garantendo un elevato livello qualitativo che si traduce poi in sicurezza.
La Gendarmerie, quest’anno, non ha certamente fornito al Tour e al mondo una buona immagine di sé. Ne abbiamo avuto chiara visione in più di una circostanza. Uno dei momenti più ridicoli e imbarazzanti, che ha davvero messo a nudo la corsa francese, è stato in occasione della sedicesima tappa, quando alle porte di Carcassonne la corsa è stata fermata e sospesa dopo nemmeno 30 chilometri dal via. Il motivo? Un gruppo di contadini francesi (non più di quindici) ha provato a bloccare la strada con trattori e balle di fieno per manifestare contro il governo Macron, reo di voler togliere delle agevolazioni fiscali regionali. La polizia, per disperderli, fa ricorso a spray al peperoncino e a gas lacrimogeni, il tutto all’oscuro del direttore di corsa Christian Prudhomme il quale viene a conoscenza del problema solo pochi minuti prima del passaggio del gruppo nella zona “contaminata”: si finisce con i corridori fermi con le lacrime agli occhi e i polmoni intasati. Insomma, una situazione che la Gendarmerie non ha saputo gestire con lucidità, come se fosse comandata da quell’impiastro dell’ispettore Clouseau (vedi Pantera Rosa).
Sia ben chiaro, non è il caso di fare troppo i tronfi o i fenomeni: i contrattempi sono all’ordine del giorno e soprattutto si celano dietro l’angolo e possono accadere a chiunque e a qualsiasi latitudine. Il problema è che all’ultimo Tour ne sono successi un po’ troppi, a dimostrazione che è certamente suggestivo essere nazione, ma forse in certi casi è molto più importante fare squadra.
dalla brochure de Il Giorno della Scorta