L’inizio della storia di Sergio Román Martín sembra la fotocopia di quella di Egan Bernal. «Era un allenamento di routine, due ore sulla bici da cronometro. Non sono uno specialista, ma mi difendo e volevo far bene al campionato nazionale. Stavo percorrendo una strada diritta, ero impegnato a testa bassa, concentrato.. Sulla strada c'era un furgone della manutenzione stradale, non era ben segnalato e ci ho sbattuto contro frontalmente».
Qui però la storia del ventiseienne corridore spagnolo della Caja Rural RGA cambia: «Mi sono svegliato a terra. Quello è stato il primo momento in cui non sentivo le gambe. Ho chiamato mia mamma “sono caduto, sto bene”, ma non so nemmeno io come ho fatto».
Il 7 marzo la vita di Martin è cambiata: in quell'incidente ha rotto due vertebre e danneggiato il midollo spinale. Lo hanno operato d'urgenza all'Hospital 12 de Octubre dove è stato portato in elicottero e, 16 giorni dopo, è stato trasportato a Toledo. «Non sento né ho la capacità di muovere tutto ciò che è sotto il punto della lesone al midollo. Forse in futuro ci sarà la possibilità di riprendersi. Non lo sappiamo, solo il tempo lo dirà».
Sergio si è raccontato a Lucas Saez Bravo del quotidiano El Mundo, che ha realizzato un reportage davvero emozionante. Vi proponiamo alcuni dei passaggi più significativi.
LA FISIOTERAPIA. «Avevo già corso 19 giorni quest’anno, adesso però non riesco a guardare il ciclismo, mi sento ancora parte di quel mondo. Sono qui e vorrei fare sempre di più, il mio fisioterapista Carlos Aparicio deve... fermarmi. Io sono abituato a carichi di lavoro 100 volte superori ma devo accontentarmi di piccoli allenamenti, le mie serie ora sono queste».
LA GUARIGIONE. «È possibile che, non appena l'infiammazione si sarà attenuata, ci sarà più connessione e magari io riesca a riprendermi. Muovi prima un dito, poi un piede, poi l'altro... Ma non dipende da me, né dai medici né dalla riabilitazione. Quando deve succedere, succederà. Se succede...».
IL CARATTERE. «Mi considero ottimista, allegro e attivo. Certo, ci sono giorni peggiori, è normale. Qualche giorno fa ho scritto su Instagram “Quelle gambe che mi hanno dato tanta gioia in bici, che mi sono sentito bruciare per aver dato tutto alla Vuelta, adesso non ci sono, non si muovono, non sentono né freddo né caldo...”. L'ho scritto perché volevo mostrare la realtà. Ci sono tante persone che non sono a conoscenza della situazione, di cosa sia un infortunio del genere».
MESSAGGI E FATICA. In tanti lo incitano, Egan Bernal gli ha scritto e lo stesso ha fatto Alejandro Valverde, ma il primo sogno da raggiungere per Sergio è l’autonomia: «Mi sollevano, non sono ancora capace di farlo ma sto imparando. La mia giornata prevede colazione, attività, fisioterapia e terapia occupazionale, per imparare a gestirmi quotidianamente».
LA BICI. «Ho iniziato a pedalare a sei anni con mio fratello, a 15 anni ho capito che potevo essere un professionista, è stato quando ho visto Froome, il mio idolo, vincere il Tour. Ho realizzato il mio sogno, in questo sono stato fortunato. Non è stato facile. Adesso per un incidente la mia vita si è fermata. Non posso tornare indietro, devo andare avanti».
ONESTA’. L’ultimo pensiero è quello che il giornalista spagnolo definisce un “brutale eserczio di onestà": «Avrei potuto rendermene conto un secondo prima e reagire. Oppure avrebbe potuto andare peggio e ritrovarmi tetraplegico e non muovere nemmeno le mani. Opurre ancora potevo morire. È successo e basta, almeno sono vivo: preferisco essere su una sedia a rotelle piuttosto che con un mazzo di fiori e una pietra sopra».
Foto di José Ayma per El Mundo