Filippo Omati ci dà appuntamento telefonico dopo le 17. Durante la giornata deve seguire le lezioni di Economia e Marketing all'università Cattolica di Piacenza, la città dov'è nato e dove ha effettuato tutta la trafila giovanile: Giovanissimi nella Franco Zeppi con Silvano Bongiorni e Alvisio Radicchio, Esordienti e Allievi nella Pontenure con Vasco e Michele Maggi, Juniores nella Casalese Armofer di patron Stefano Cinerari con Luca Colombo. E la città dove nel 2024, tra allenamenti e gare della prima stagione Under 23, in maglia Technipes #InEmiliaRomagna, tra un Belvedere e un Giro Next Gen, tra un'Isard e un campionato italiano U23, si è diplomato allo scientifico con un onorevole 76.
Sì, stiamo parlando di un giovane corridore che si appresta a disputare la sua seconda annata da "under" e nel frattempo porta avanti studi impegnativi. Un corridore che ha effettuato un percorso ciclistico estremamente legato al proprio territorio, come abbiamo visto. E di un corridore che quest'estate ha vissuto un momento sportivamente drammatico: brutta caduta nella terza tappa del Giro della Val d'Aosta il 19 luglio (dove il talentuoso compagno Crescioli giungeva 4° dietro Golliker, Martinez e Widar) e danni sparsi alla parte superiore sinistra del corpo. Un mese e dieci giorni dopo, la luce in fondo al tunnel: la rimozione del collare, il ritorno sui rulli, il progressivo rimarginarsi di ferite e lesioni, tranne quella al plesso brachiale per la quale, pur essendo poi tornato ad allenarsi regolarmente in strada, deve evitare troppi rischi per i prossimi due-tre mesi ancora.
Partiamo da quel post su Instagram del 29 agosto, nel quale confessavi di aver pensato seriamente di smettere ma qualcuno in particolare ti aveva convinto a cambiare prospettiva, tener duro e tornare in ballo con motivazione raddoppiata…
«Mi riferivo a due persone. Il primo è papà Vittorio, mio fan numero uno nonostante non abbia mai corso in bici: dietro a un aspirante corridore, oltre a grinta, voglia, testa e gambe ci vuole una grande famiglia. Lui, mia mamma Elena, mia sorella Francesca (2 anni meno di me) e mio fratello Paolo (7 anni meno di me) lo siamo. Ma anche i miei zii e cugini, coi quali viviamo nello stesso palazzo e condividiamo tanti momenti, comprese le mie gare quando possibile. Proprio i miei cugini Alessandro e Francesco, che hanno smesso di correre per portare avanti ottime carriere universitarie, m'ispirarono da bambino a voler fare il ciclista. La seconda persona decisiva a cui mi riferisco nel post è Luca Colombo, direttore sportivo del Pedale Casalese Armofer: mi è stato molto vicino, come lo fu fin da subito nel mio biennio Juniores, mi ha motivato non con classiche parole di facciata ma convincendomi in modo credibile che, seppur duro e doloroso, il recupero da quell'infortunio a spalla e non solo mi avrebbe fortificato in tutti i sensi. Sento Luca ogni settimana e a volte andiamo a pranzo insieme: è come un grande fratello (non certo nel senso orwelliano o televisivo del termine)"
Sappiamo peraltro che Colombo ha propiziato il tuo passaggio Under 23 nel team Technipes tenendo un filo diretto costante con Davide Cassani, da quando quest'ultimo ti adocchiò nel 2022 al primo anno Juniores…
«Sì, loro si conoscono bene e sono felice e onorato di essere piaciuto a Cassani. Di rimando mi preme sottolineare quanto lui sia una brava persona, estremamente professionale e soprattutto concreta: tutto ciò che promette mantiene e si interessa realmente ai suoi corridori. Ma in generale mi trovo molto bene con Coppolillo, Chiesa, Chicchi e tutto lo staff.»
Par di capire che hai sempre avuto accanto a te le persone giuste per la tua formazione!
«Sì, ho avuto questa fortuna fin da subito. Nella Zeppi ci facevano vivere la bici come un gioco, come giusto che sia da Giovanissimi. Ma anche da esordiente e allievo, i Maggi padre e figlio hanno svolto un lavoro impeccabile: alla serietà del lavoro e al fisiologico aumento dei carichi di lavoro e della competitività delle corse, hanno sempre associato un'allegria e uno spirito che mantengono il ciclismo un divertimento, educandoti al doveroso sacrificio senza sovraccaricarti di stress psicofisico. In quante gare con la Pontenure sono scattato al via coi dolori alla pancia dalle risate che ci eravamo fatti nel viaggio e nel pre-gara...»
In un ciclismo giovanile che molti, Cassani in primis, definiscono spesso esasperato, cosa può insegnare secondo te la tua esperienza?
«Per tirar su un atleta nel migliore dei modi, non bisogna puntare al numero di vittorie ma alla crescita: saper mandare il motore su di giri senza imporre chilometraggi eccessivi, pianificare i programmi d'allenamento e scegliere il calendario gare in modo mirato e con criterio. Tanto che, pur avendo ottenuto quasi 15 vittorie a livello agonistico (escludendo quindi i Giovanissimi, dove comunque ero abbastanza vincente) non amo citare questo o quel successo rilevante per enfatizzare le tappe della mia crescita. Semmai mi porto dentro la soddisfazione della crescita umana e sportiva che ho potuto avere.»
Portare avanti un percorso legatissimo al tuo territorio è stata una precisa scelta?
«Volevo rimanere vicino a casa per potermi concentrare in modo corretto sulla scuola. Se ti rendi conto, come me, di non avere le stimmate del fuoriclasse, è fondamentale portare avanti un piano B e aprire il tuo ventaglio di opportunità future, dato che nel ciclismo sono in pochi a farcela per davvero. Chiaramente ciò non vuol dire che non sogno il professionismo o che non m'impegnerò al massimo: finché sono un corridore e mi trovo oltretutto in una bella Continental come questa, ho intenzione di dare il 100% sulla bici e in parallelo cercare di ritagliarmi momenti di studio togliendoli magari a tv e distrazioni varie.»
Avevi la possibilità di andare in un Devo Team straniero?
«Decisamente no, ma chi ha tale possibilità è giustissimo che coltivi quell'ambizione. Comunque non è l'unica strada, si può crescere bene pure in una società come la mia e le altre della stessa categoria. Ogni ciclista è differente e non esiste una regola ugualmente perfetta per tutti.»
E se ci fosse una World Tour italiana con un suo Devo Team?
«Sarebbe bello, un gran punto di (ri)partenza.»
Ma in tutto questo, che tipo di corridore sei?
«Penso di averlo capito da poco: sognavo di diventare uno scalatore, ma sono troppo massiccio. Ho quel giusto mix di resistenza ed esplosività che può permettermi di tenere sulle salite da dieci minuti e poco più, giocandomela bene allo sprint ristretto. Diciamo uno col potenziale da corse di un giorno, o brevi gare a tappe senza tapponi di montagna ma con profili vallonati. Tengo a precisare che qui sto parlando esclusivamente di caratteristiche. Per potermi giocare le vittorie occorre ancora un bel salto di qualità.»
Intanto dei begli esempi di vincenti ce li hai nella "scuderia" di cui fai parte…
«Questo sarà il terzo anno che parteciperò alla festa dei Carera, miei procuratori: bellissimo trovarmi a contatto con quei super campioni!»
Dove arriverà nel ciclismo Filippo Omati, 20 anni il prossimo 5 giugno, ce lo diranno il tempo e l'evoluzione delle cose. Di sicuro, abbiamo avuto modo di fare due chiacchiere con un campioncino di testa e mentalità.
Invece con uno dei tecnici giovanili menzionati nell'articolo, Vasco Maggi, parleremo domani nella nuova puntata del podcast BlaBlaBike.