Il CT delle meraviglie colpisce ancora: dopo l'oro di ieri nella madison femminile oggi Marco Villa ha vissuto con emozione l'argento conquistato da Elia Viviani e Simone Consonni. Nella “sua” americana, in questa specialità ha vinto il bronzo olimpico a Sydney 2000 oltre a due titoli mondiali in coppia con Silvio Martinello, il commissario tecnico della pista italiana, si è tolto l'ennesima soddisfazione che ha commentato con noi con la consueta disponibilità.
L'avventura olimpica di Elia, il capostipite del movimento azzurro, finisce con una medaglia, come è giusto che sia.
«Sì, e che non cambi idea adesso (sorride, ndr). Le medaglie di ieri e oggi rendono giustizia al settore femminile e maschile, entrambi avevano lavorato tanto ed erano da podio. Se l'abbiamo mancato nel quartetto donne è solo per colpa di infortuni e malanni che hanno compromesso l'avvicinamento all'appuntamento. Il risultato dell'Omium di Elia non mi quadrava, non l'ho mai visto andare così forte, non l'ho mai visto lavorare così tanto, ha cambiato anche modo di allenarsi perché ha capito che per correre queste gare ormai bisogna usare dei rapporti più lunghi e non li avevamo nelle gambe ma in quest'ultimo anno ci ha messo tanto impegno per cambiare un po' anche il suo modo di allenarsi».
Oggi abbiamo provato a sorprendere i rivali prendendo il giro, come ieri.
«Elia addirittura voleva scattare al pronti via. Aveva dichiarato che avremmo adottato una tattica pazza... Ci è riuscito qualche giro dopo. Questo argento ripaga gli sforzi anche di Simone che in questi anni è sempre andato vicino al risultato pieno in questa disciplina, anche al mondiale. Ha rischiato di indossare la maglia iridata a Roubaix, sfumata all'ultima volata per un cambio sbagliato, se no poteva essere campione del mondo con Michele Scartezzini. Come abbiamo detto più volte abbiamo lavorato poco specificamente su questa gara, ma entrambi sono arrivati con una buona condizione, con un buon percorso. Non è una medaglia da outsider».
Senza la caduta sarebbe cambiato qualcosa?
«Il Portogallo era rinvenuto forte gli ultimi 30 giri. Nei primi 160 non lo riconoscevo, ma poi hanno attaccato di forza. Il ritmo era alto ed è diventata una gara dura per tutti. Ovviamente era meglio non finire a terra. Elia in quel momento stava cambiando, aveva già fatto due giri e mezzo, è dovuto ritornare in gruppo e affrontare altri sei giri con davanti neozelandesi e portoghesi che attaccavano quindi ha fatto uno sforzo di 8-9 giri a fine gara che nel finale ci ha penalizzato. Peccato».
Quella che hai oggi è la squadra più forte che tu abbia mai avuto?
«Il gruppo è sempre quello, i nomi sono sempre quelli, si è aggiunto il settore femminile che ha imparato molto dal maschile. I talenti li abbiamo. Siamo arrivati qua come campioni olimpici dell'inseguimento a squadre con i ragazzi e con un titolo mondiale conquistato dalle ragazze due anni fa proprio in questa pista, quando è partito a tutti gli effetti il progetto per Parigi. Ho già spiegato cosa è successo nel quartetto, però il nostro livello è alto e queste medaglie lo dimostrano, non sono assolutamente arrivate gratis».
In tribuna stampa un collega inglese mi ha chiesto “com'è che siete così forti voi italiani in pista?
«Perchè come la Gran Bretagna lavoriamo bene. Per preparare i Giochi di Londra, Brailsford ha costruito la Sky, improntata per vincere le medaglie alle Olimpiadi. Da quel progetto sono usciti Wiggins, Cavendish, Geraint Thomas... Il modello prestazionale è rimasto quello, adesso hanno Hayter, Vernon che vince le volate e fa la partenza del quartetto. Per vincere le Olimpiadi devi avere quelli forti e quelli forti corrono su strada, devi ritagliare il tempo giusto da dedicare alla pista senza far perdere loro l'attività su strada che è quella che gli dà lo stipendio. Ovviamente sarebbe piaciuto e mi piacerebbe anche adesso avere una squadra di riferimento italiana che potesse trattenere i giovani e permetta loro un percorso come quelli che hanno avuto Viviani, Ganna, Consonni e Milan».
Ripensando all'Olimpiade dove è cominciato il viaggio olimpico in pista di Elia, cosa ti viene in mente?
«Che a Londra era l'unico atleta che avevamo poi abbiamo fatto sistema. 12 anni dopo la contabilità di questa spedizione è di tre medaglie con Letizia Paternoster che domani può fare bene nell'Omnium. Abbiamo trovato campioni, merito di madre natura, che con il loro talento hanno esaltato il modo in cui stiamo lavorando. Un aggettivo per Elia? Immenso, incredibile, si è allenato come un diciottenne per arrivare pronto a questi Giochi. Per fortuna i suoi compagni lo hanno preso d'esempio già da anni. Peccato non facciano altrettanto tanti direttori sportivi e manager che pensano che mandare i ragazzi in pista non sia una grande idea».