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SALICE, TECNOLOGIA ITALIANA: LE SCELTE DI UNA IMPRENDITRICE, LA STRATEGIA DI UNA AZIENDA. GALLERY
di Giorgio Perugini | 05/06/2023 | 08:00

Oggi incontriamo una delle figure più note e preparate nel panorama dell’imprenditoria italiana: Anna Salice, erede e titolare del marchio Salice Occhiali, eccellenza tutta italiana. 

L’azienda fondata da Vitaliano Salice, nonno di Anna, non si è mai spostata dal Lago di Como rimanendo fortemente radicata nel territorio e nel cuore di tutti gli abitanti di Gravedona. In quasi 104 anni di storia, la Salice ha vissuto momenti importanti passando dalla produzione degli astucci per contenere gli occhiali fino ai mo­derni prodotti sportivi che tutti conosciamo, direzione questa intrapresa dopo la seconda Guerra Mon­diale. Ci sono molti spunti che fanno di Anna Salice un’imprenditrice di successo con una carriera caratterizzata da de­cisioni lungimiranti e un impegno assoluto.

Signora Salice, la vo­stra è un’azienda di successo tutta italiana e incredibilmente radicata nel territorio. La sua è una carriera interamente votata al marchio, un aspetto che non deve tuttavia trarre in inganno con superficiali semplificazioni: restare al comando dell’azienda di famiglia può sembrare ai più l’opzione più semplice ai più, ma è un atto di grande responsabilità e solo pochi riescono nell’impresa. Ci racconti un po’ di lei e di questa scelta. 

«È vero, ha toccato subito un tasto do­lente. La mia vita lavorativa comincia qui nell’azienda di famiglia e mio padre, che era un uomo illuminato. disse un giorno a mio zio “Anna manderà avanti l’azienda”. Mio padre aveva ragione, vedeva per me questo futuro, purtroppo l’ho perso prestissimo: avevo solo 7 anni e questo aneddoto me lo ha raccontato mio zio molti anni dopo, quando avevo già acquistato le mie quote, ammettendo che mio pa­dre era stato lungimirante. Inutile negarlo, prima di me erano passate altre persone alla guida del’azienda, esperimenti falliti per vari motivi ed io, giovane donna, dovevo affrontare le difficolta come tutti ma anche un certo maschilismo. Mi sono forgiata co­sì, Salice è stata la mia palestra e la mia for­mazione è stata severa e fatta di grande spirito di responsabilità. Sono cresciuta e mi sono messa sulle spalle carichi pesanti, anzi, se mi permette il paragone ciclistico, mi sono messa in testa al gruppo a tirare! Però le confermo una cosa: non ho mai mol­lato, mai. Sono cristiana alla mia ma­niera e il buon Dio mi ha dato una grande resistenza, io ho coltivato le mie doti con impegno e onestà. Credo che tutto questo venga sempre ripagato nella vita».

Sappiamo che la sua è una azienda tut­ta al femminile, un lato “rosa” di Sa­lice Occhiali che pochi conoscono. Le lavoratrici arrivano da Gra­vedona o luoghi vicini e godono di orari che permettono loro di vedere i figli in pausa pranzo. Questa politica aziendale lega ulteriormente Sa­li­ce Occhiali al territorio: quali sono gli aspetti della sua terra che ritrova di più nella sua azienda?

«Ho respirato l’amore per l’azienda, sempre. È inutile negarlo, essere im­prenditori ci mette anche sotto la lente d’ingrandimento. L’azienda sorge a due passi dal lago di Como e pensi che, quando ero piccina, nel periodo estivo a me era proibito entrare dal cancello principale con i pantaloni corti e la salvietta sulle spalle e passare davanti ai reparti degli operai per andare in spiaggia. Non facevo nulla di male, ma dovevo portare rispetto ai lavoratori im­­pegnati nelle loro mansioni. Anche quando ero bambina facevo la mia parte, i lavoretti in fabbrica li ho sempre fatti e non per castigo, ma per imparare. La­vo­ravo due ore al giorno, quello era il mio dovere, e poi tornavo libera come tutti i bambini: mi hanno cresciuto così. Il territorio ci sta attorno, ma è anche qui dentro la mia azienda. Le lavoratrici sono il mio team, questo modus operandi mi soddisfa e mi fa stare in pace con me stessa. La mia è un’azienda rosa? Ebbene sì e ne vado fiera».

Lei ha maturato sul cam­po una esperienza incredibile, del resto Sa­lice Oc­chiali è uno dei pochi marchi che non ha vissuto momenti d’ombra rimanendo costantemente al passo con i tem­pi. Cosa ritrova in lei oggi dell’An­na che è entrata in azienda anni fa e quali sono lo spirito e l’entusiasmo con cui guida il suo team?

«Guardi, proprio in questi giorni è arrivato il catalogo nuovo stampato e sono stata la prima a toccarlo, a sfogliarlo e con lo stesso entusiasmo di sempre, ma le confesso che sono già concentrata su quello che verrà poi. Cerco di capire cosa vuole il mercato e di tradurre poi in pratica le mie idee, in fondo è un po’ come avere tra le braccia un figlio. A 30 anni ho fatto una scelta, ero una donna al comando e ho affrontato il bivio, figli o azienda. Avrei potuto avere un figlio e sottrargli tanto tempo per via del lavoro o impegnarmi come madre togliendo tempo all’azienda con tutte le conseguenze. Si tratta di scelte importanti e io la mia l’ho fatta. Ho la passione per lo sci, per il cavallo e ama­vo andare in moto. Però quando posso sciare non c’è neve, quando non posso per via del lavoro nevica come non mai! Il cavallo è un impegno e lo stesso vale per la moto alla quale ho rinunciato perché avevo paura che un mio incidente trascinasse nei guai l’azienda e tutte le persone che dipendono da me. Oggi ho 62 anni e rimpiango la moto, forse avrei dovuto fare qualche giro in più, avrei dovuto concedermi qualche altra emozione lungo la Cisa, la Futa, o qualche altro viaggio in Grecia, che tempi! Ma non potevo giocare con la sorte».

La svolta che vi ha portato alla produzione di elementi votati allo sport, sci e ciclismo, ha segnato il vero cambio di passo per l’azienda. Quali sono i valori a cui Salice Occhiali deve rimaner fedele e cosa è lecito aspettarsi per il futuro?

«La vera svolta la dobbiamo allo sci sulla fine degli anni ’50, quando nel ciclismo si era fermi al classico cappellino…. Non si poteva avere nulla di metallico in testa o sul viso e solo nel 1986 un marchio concorrente ha prodotto un occhiale dedicato al ciclismo, una cosa geniale ai quei tempi: ab­biamo importato questo marchio fino al 1993, mentre per il  casco poi il discorso è stato ancora più difficile. I primi occhiali erano semplici occhiali sportivi, erano ac­cessori polivalenti, oggi tra le mani abbiamo molto di più. Nel 1990 ho fatto scelte e investimenti importanti per l’azienda e lo stesso vale per gli anni post 2000, quando abbiamo smesso di produrre per terzi. Mi sono resa conto che dovevo concentrare tutto sul marchio e così ho fatto, nessun pentimento. Ecco, questo è stato il valore aggiunto, dare alla mia azienda la direzione corretta, come se fosse una nave pronta ad affrontare il mare aperto. Le regole? Esigo correttezza e precisione da me stessa e dagli altri: ho fatto di tutto affinché Sa­lice sia sempre precisa nelle consegne e nella gestione del magazzino. Produciamo elementi di qualità e cerchiamo di mantenere prezzi corretti, una scelta fortemente voluta e alla quale non vo­glio rinunciare. Tutto quello che esce da Sa­lice è prodotto con enorme re­spon­sabilità e rispetta ogni requisito per la sicurezza, a partire dai caschi per i bambini fino a quelli che utilizzerà un professionista, sia per il ciclismo che per lo sci». 

Salice Occhiali è stato in tutti questi anni un marchio presente nelle competizioni sportive ai massimi livelli. I team professionistici spesso sono il banco di prova per i prodotti, è così anche nel vostro caso? 

«È sempre difficile quantificare il ritorno di immagine, ma essere presente in realtà sportive può essere importante. Le dico so­lo che ci siamo stati e ci saremo. Noi siamo una azienda familiare, cerco di fare piccoli passi alla volta, passi certi, zero fronzoli. Una cosa però non capisco ancora, come certi farabutti siano ancora a piede libero, personaggi che fanno saltare aziende e seminano buchi enormi».

Confucio diceva che se scegli un lavoro che ami, non dovrai lavorare neppure un giorno della tua vita. So che la sua è una posizione di grande responsabilità e occorre essere pronti a rischiare per portare avanti un’azienda, ma quanto si rivede in questa frase?

«È vero, sottoscrivo questa frase, ma la responsabilità rende sempre tutto più difficile. Mio zio è stato mio socio e fino a quando è rimasto con me in azien­da mi ha sempre detto “Anna, lavori troppo!”. Ave­va ragione, ma la vita è così: lui mi chiedeva di delegare, io non ero in grado di farlo. Gli dicevo sempre “io lavoro il doppio e guadagno la metà, non vivrò mai i tempi d’oro passati”. Negli anni abbiamo affrontato momenti difficili, ma oggi le confermo che la nostra forza è che qui è tutto nostro. Ho magazzino per lavorare un intero anno e soddisfare tutte le richieste. Noi siamo pronti».

Siamo nel 2023, il mondo stenta ancora a riprendersi dagli effetti della pandemia. In quel periodo Salice Occhiali si è anche distinta per la conversione di parte della produzione per fornire a diversi enti gran parte dei dispositivi di protezioni necessari, un lavoro ap­prezzato da tutti. Come esce l’azienda da questo biennio così complicato?

«Innegabile, gli ultimi anni hanno rivoluzionato il mondo e cambiato il panorama futuro. Il trend positivo è stato evidente, ma oggi ci troviamo tutti a far fronte a pesanti aumenti a livello di costi di produzione. Diverse materie prime sono aumentate del 30-40% e il costo del riscaldamento nella mia fabbrica è salito del 300%. Il lockdown è stato duro, ci ha costretto a stare lontani gli uni dagli altri e noi ci sia­mo rimboccati le maniche per essere utili. Abbiamo fatto visiere e occhiali per gli ospedali, non ci siamo mai tirati indietro. Io sono ottimista di natura e ho fatto tutto quello che era alla mia portata, anzi, ho dato qualcosa in più. Questo 2023 è partito molto lentamente, ci saranno diversi scossoni e probabilmente qualche azienda correrà il rischio di saltare». 

La mobilità sostenibile ha preso piede nelle nostre città, bici e monopattini sembrano aver colonizzato le nostre strade. Cosa ne pensa? Il casco do­vrebbe essere un dispositivo di sicurezza obbligatorio?

«Sono pronta, ho un monopattino elettrico e un’autovettura elettrica, ma credo che questa non sia la via giusta. Le batterie diverranno un problema, nell’aria c’è altro, spero che le moderne tecnologie ci diano motori veramente puliti. Certo, chi noleggia un monopattino in città non indossa il casco e forse solo pochi possessori di mo­nopattini lo comprano davvero. Però le confermo che ricevo regolarmente lettere dai clienti che mi ringraziano perché i miei caschi hanno salvato loro la vita. Il casco dovrebbe essere obbligatorio? Credo di sì, ma si tratta di una scelta autonoma che chiunque dovrebbe fare».

Chiuderei chiedendole una prevsione per il futuro, non prima di averla ov­viamente ringraziata per il tempo ch ci ha dedicato. Come vede Salice Occhiali tra 10 o 20 anni?

«Chi lo sa, ora ci sono io. Non le so ancora dare una risposta…Ho ancora diversi risultati da raggiungere, poi ritornerò a farmi qualche bel giro in moto».

da tuttoBICI di giugno

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