«Come è iniziato per noi il 2019? Bene, molto bene. I numeri sono lì da vedere. Più 15%, battute tutte le aspettative degli analisti sia in termini di fatturato che di marginalità. Tre miliardi 300 milioni di dollari di fatturato, con 778 milioni di dollari di utile operativo. Se a questo aggiungiamo che il gruppo Garmin ha da poco ufficializzato un’importante acquisizione, quella della Tacx Onroerend, società olandese che progetta e produce rulli, strumenti e accessori, oltre a software applicazioni per l’allenamento indoor, beh, non possiamo che essere soddisfatti per l’inizio di questo nuovo anno».
Stefano Vigano è uomo Garmin dal maggio del 2007, amministratore delegato dal 2012 e lo incontriamo nel giorno del suo 55esimo compleanno, tagliato proprio ieri. È il testimonial ideale dello spirito Garmin, fatto di concreta passione. Stile sportivo, informale, è solito andare al sodo, come piace alla casamadre americana.
«Quello che noi siamo chiamati a fare è sempre e solo una cosa: metterci in gioco con passione e competenza – spiega a tuttobiciweb -. Come vi ho fatto vedere la nostra è una società che produce utili, ma questi sono in gran parte reinvestiti in ricerca e sviluppo, oppure usati per comprare quella tecnologia che ci è necessaria per restare al top».
L’acquisizione della Tacx va in questa direzione.
«Esattamente. È un marchio di eccellenza assoluta, che entra a far parte della galassia Garmin e allarga la nostra offerta. Il ciclismo indoor sta crescendo in modo esponenziale. È un mondo tutto da scoprire, e noi ci siamo, da tempo. Ora, ancora di più e ancor meglio».
Il ciclismo indoor un’opportunità per accrescere l’appetito degli appassionati?
«È un vero e proprio acceleratore di opportunità. Per tante aziende del settore, dalle biciclette agli accessori per chi corre in bicicletta, è un completamento. È un mondo che sta muovendo le sue prime pedalate, ma è chiaramente in pieno sviluppo ed espansione. Fino a pochi anni fa i rulli erano una iattura, da usare da dicembre a gennaio, ora con gli strumenti, i software e le applicazioni che ci sono, sono davvero una piacevole alternativa alle uscite su strada. Sono un’opportunità da sfruttare e seguire: sia per gli appassionati, che per noi aziende».
Questo per quanto riguarda un ciclismo virtuale, che si sta facendo però sempre più reale. Ma quale sarà il ruolo di Garmin all’interno del ciclismo professionistico di vertice?
«Siamo al fianco di tantissimi gruppi di World Tour, dala Movistar a EF Education First, da Trek-Segafredo a Mitchelton-Scott, ma quest’anno siamo anche al fianco di un team come la Sky. Insomma, abbiamo il meglio».
Da sempre siete anche estremamente attenti agli eventi.
«E quest’anno lo saremo ancora di più. Parteciperemo in maniera sempre più importante alle Gran Fondo, in modo da stare sempre più vicino ai nostri clienti e potenziali tali. Nel nostro DNA c’è quello di risolvere problemi, prendere cura dei nostri clienti, farli stare bene. Per non è fondamentale. Io che amo pedalare per puro piacere, senza l’ossessione dell’agonismo, adoro parlare con chi fa parte della nostra comunity, con la grande famiglia di Garmin. Io sento, ascolto e respiro quello che hanno da dire. E poi cerco anch’io di portare il sentiment di persone che hanno a cuore i nostri prodotti, per fare in modo che la nostra tecnologia sia sempre avanti e rispondente alle esigenze di chi pedala».
Cosa pensa di quanto ha dichiarato sia su tuttobiciweb che sulla Gazzetta dello Sport Mario Cipollini: tanta passione, ottimi corridori, ma nessuna squadra italiana di World Tour…
«È il mio vero cruccio. La tantissima passione, la grande pratica ciclistica, non si traduce in un interesse reale e di grande prestigio da parte di qualche grande gruppo industriale nazionale. Il perché? Le ragioni sono tante, ma sicuramente i manager del ciclismo devono provare a pensare ad un nuovo format di ciclismo: oggi non si può più solo pensare di proporre la vendita di uno spazio sulla maglia per dare forma ad una squadra professionistica. C’è da costruire un progetto più interessante e innovativo. In ogni caso il gap che c’è tra la passione della gente e il poco grip con le aziende che contano è evidente quanto preoccipante. E il problema non è di facile soluzione».
Anche la sicurezza in bicicletta è una priorità.
«E noi di Garmin stiamo facendo cose importanti per rendere sempre più sicura la pratica ciclistica. Con squadre come il Team Bahrain e corridori del calibro di Vincenzo Nibali, stiamo lavorando per sensibilizzare tutti ad usare più attenzione. Ognuno deve volersi più bene, e deve volerne anche agli altri».
Sa che si sta lavorando alla riforma del Codice della strada. Si parla di biciclette che possono - in zona 30 km - percorrere strade a senso unico in contromano oltre che ad andare sul marciapiede: cosa ne pensa?
«Non siamo ancora pronti per provvedimenti di questo tipo. Nei Paesi nordici c’è una cultura di oltre settant’anni, sono state pensate e disegnate strade per ciclisti e pedoni. Basti pensare che se in Olanda – e non solo lì - fai tanto di camminare su una pista ciclabile rischi il linciaggio. Ognuno ha il proprio spazio e ognuno rispetta gli spazi altrui. Da noi andiamo in contro ad una pericolosissima promiscuità. Intanto incominciamo con l’educazione nelle scuole, sia elementari che quelle di guida. Prepariamo il terreno. Educhiamo, progettiamo strade adeguate. Obblighiamo tutti a indossare il casco. Invitiamo tutti a tenere accese le luci, anteriori e posteriori. Ogni ciclista deve essere visibile. Io vedo tantissime persone che vanno in bici ancora senza casco e quando lo faccio notare mi dicono, ma a te cosa interessa? M’interessa perché il Servizio Sanitario Nazionale lo pago io come tutti i cittadini, e certe spese si possono e si devono evitare. Ha ragione Bugno quando dice che le piste ciclabili non possono essere percorse da ciclisti agonisti che pedalano a 40 km/h, perché è pericoloso. Bisogna arrivare a considerare i corridori professionisti e quelli che fanno competizioni, come dei veri e propri ciclomotori. Quindi targa e percorrenza in strada, con il rispetto di tutti i codici vigenti. C’è da parlarne, ragionare, educare, ma spero che per il momento prendano tempo: non siamo pronti».