Scripta manent
La difficoltà di darsi del «tu»
di Gian Paolo Porreca

Prima di cominciare, una premessa: questa non è una critica, è innanzitutto un’autocritica.
Sul versante doping e contorni, per intenderci, in quanti possiamo sentirci in buona fede, senza sottoscrivere l’infelice 0-0 calcistico di Sconcerti, «né con Zeman, né con la Juve»?
Ma non siamo stati proprio noi che firmiamo qui, nel 1969, quando tanti corridori di oggi non erano ancora nati, a scrivere un romanzo, «A Gerben con simpatia», nel quale l’alter ego del protagonista era un irredento ciclista olandese, Gerben Karstens, che si era impadronito della fantasia dell’autore per quella sua nuance di «maudit», positivo all’esame anti-doping al Giro di Lombardia di quell’anno?

Uno scheletro di doping anche nel nostro cuore, lo sapevate? Fermo restando il meccanismo psicologico che il ciclismo della giovinezza resta sempre il più bello, così come le ragazze, così come le canzoni, perché ci piacevamo di più noi, è indiscutibile che esisteva allora una flagranza - o una fragranza? - di reato che dava serenità. Esisteva, con il religioso esame delle urine, una garanzia di colpa: Karstens sbagliava, come sbagliava Pollentier, semmai provavano pure a frodare il controllo del dottor Dumas, sbagliavano come Motta e Balmamion, Wagtmans e Vianen, Bocci e Van Springel, ma erano colpevoli riconosciuti. Non c’erano avvocati che difendevano i ciclisti - e non il ciclismo, ovviamente...- c’era una doppia partita serena, di guardie e ladri, di diritti e doveri.Carte scoperte, non il poker: un partita a scacchi.Chi sbagliava, pagava. E poi tornava a correre.E più tardi, semmai, amici come prima.

Diciamo che quello che contribuisce in maniera determinante al sospetto e alla mala grazia del ciclismo degli ultimi dieci anni - dall’Epo in poi, per intenderci - è proprio la impossibilità di distinguere sulla lavagna «buoni» e «cattivi», di una certezza di colpa che schiarirebbe l’atmosfera.Nebbia sul risultato, come si fosse in Valpadana.Ha vinto: sì, ma come ha vinto?
Di Karstens siamo diventati amici, gli davamo il «tu» ma sarebbe giusto - questo è l’incredibile punto di arrivo - dare il «tu» ad un ciclista di oggi? Perdonateci la provocazione, ma muovendoci ormai a tentoni, non sarebbe meglio il «lei»? Come usava BrunoRaschi, pure con Moser!
Prendere le distanze da una passione tanto amata è in qualche modo drammatico, forse perdente, ma ci sembra naturale, doveroso: non abbiamo più certezza di niente. Oltre, nella nostra normalità, al non credere in Riis.

Ed allora, come facciamo ad ascoltare Cassani che cita Fontanelli, «ottimo professionista», se ci sembrerebbe prioritario ricordarlo come «positivo al testosterone» nel ’96? E come farebbe Cassani, d’altronde - lui è un ragazzo di cuore - a parlare in modo diverso di un suo compaesano, Romagna solatia dolce paese, di un amico? E lo stesso ex-ciclista, il cui ruolo di commentatore televisivo ci appare tuttora inopportuno, ha il diritto sentimentale di esaltare il suo team manager storico Ferretti come di un grande maestro, o dovrebbe avere l’equilibrio civile di ricordare che ’sto grande maestro, seppure persona amabile, è stato certo un po’ sfigato recentemente, con Bertolini positivo per caffeina, Fontanelli per testosterone, Santaromita sospeso per ematocrito alto, ed il jackpot del blitz nell’albergo della MG-Technogym nel ’97, con una farmacia proibita al seguito: porte aperte agli anabolizzanti, si evince da una testimonianza...

Ed è proprio necessario camuffare, con una eleganza sproporzionata, come un «anno sabbatico» proprio del ricercatore universitario o del giornalista, l’annuale stato di distanza dal ciclismo di Ferretti: che se non andiamo errati fu sospeso dalla Procura antidoping per «qualcosa in più di un omesso controllo»? Franchezza e non acquiescenza: e pubblica.Così potremo anche accettare di perdonarvi l’Optalidon del passato.
Prendere le distanze, hai visto mai, per poterci innamorare un’altra volta domani: è la speranza di un penultimo romantico.Ma riconosciamo, se la nostra è un’autocritica, che per tanti essa è difficile, forse impossibile: la verità è una linea sghemba, già nella nostra coscienza di persone oneste.

Ci vorrebbe uno spirito divino, per la salvezza del ciclismo: o prima che i ciclisti, bisognerebbe rifare gli uomini?
«Ci vuole una legge, onorevole Prodi», scriveva tempo fa un gentiluomo di rango come Sergio Neri: romagnolo pure lui, come Cassani, come Fontanelli, come Pantani, come il professor Conconi. Ma proprio l’onorevole Prodi che ha festeggiato il Pantani-day, quando va in bici con il professor Conconi, ci incuriosisce, gli dà il «tu» o il «lei»? E gli parla, talvolta, a taccuini chiusi? Prova anche lui la scabrosa incompatibilità che abbiamo intuito, fra diritti privati a giocare al nostro gioco preferito e pubblici doveri a far giocare lecitamente gli altri?

Elo ha mai rimproverato, e gli ha chiesto mai perché - PERCHÉ - nonostante le sue annose promesse di celebre studioso sull’argomento, non è riuscito a produrci quel test sulle urine, specchio di un’Epo assunta in maniera innaturale, che da solo ci avrebbe santificato questo ciclismo sub judice. Oltre, beninteso, Romagna solatia dolce paese, a guarire il nostro ferito sentimento.

Gian Paolo Porreca, napoletano, cardiochirurgo vascolare
e articolista de “Il Mattino”
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