Senza sapere chi è il numero uno
di Cristiano Gatti
Indimenticabile 2022 che mandiamo in cantina. Annata piena, annata movimentata, annata che per di più non chiarisce niente di definitivo e ci manda al 2023 con il dubbio più eccitante: ma allora, chi è il più forte nei grandi giri, l’uomo della nuova era, il vero numero uno di questo decennio, Pogacar o Evenepoel o Vingegaard?
La grande bellezza di questa fertilissima stagione - che è poi la grande tristezza per noi italiani derelitti - sta in questo prodigioso incrocio tra tre ragazzi fenomenali, il più vecchio dei quali ha 25 anni (Vinge), età che una volta per il campione era ancora svezzamento e apprendistato, mediamente. Questi tre no, non hanno aspettato niente, sono passati subito dal biberon alle costate e ai brasati, con tutti i denti fuori, con una forza e una resistenza e un coraggio - ma io ci metterei anche la fantasia, porca miseria, la dote più bella - senza età e senza definizioni. Hanno già vinto e stravinto di tutto. Una congiuntura eccezionale, fuori dal comune, fuori da ogni schema e da ogni programmazione: siamo nell’epoca del ciclismo lampeggiante e psichedelico, nemmeno l’avessero inventato nel metaverso in una dimensione tutta virtuale.
Ecco, una volta inquadrato il periodo eccezionale, impossibile non ricascare alla domanda iniziale: sempre parlando di grandi giri, quale dei tre è davvero il re dei re? Chi va messo anche solo di un centimetro sopra gli altri due? Diciamolo: averne, di dubbi così. Sempre, in tutte le epoche. Restando a questa, i risultati freddi e oggettivi spingerebbero a rispondere che il numero uno è Vingegaard, per il semplicissimo fatto che ha vinto la corsa numero uno, il Tour de France, tra l’altro battendo nello scontro diretto Pogacar. Evenepoel, che si è “limitato” a vincere la Vuelta, sarebbe così il terzo del superpodio mondiale. Ma davvero possiamo farla così semplice e pacifica? Davvero qualcuno se la sente di chiuderla così?
Sinceramente - e per fortuna - la disputa è molto più intricata e complessa. Anche per questo molto più affascinante. Oltre tutto, dobbiamo sforzarci di pensare che la gerarchia non riguarda solo il 2022, ma verosimilmente riguarderà tanti anni a venire. E allora, chi sarà il dominatore tra i dominatori, ammesso e non concesso che un dominatore ci sarà, che magari non finiranno invece per spartirsi il bottino come quest’anno, una volta l’uno e una volta l’altro, una volta qui e una volta là.
Èuna scelta difficile, ma è un magnifico scegliere. Remco stupisce per come è riuscito a riemergere dal baratro in cui era finito al Lombardia, per come da vero Lazzaro si è rimesso in piedi, tornando dopo quei danni spaventosi ai livelli massimi. Vingegaard è dei tre quello col braccino, appare meno, si spende meno, vince meno, anche se parlando di pura salita può risultare il più letale dei tre. Pogacar sembra il più fondista, il più resistente, il più versatile, da grandi percorrenze e da spunti rapidissimi. Al contrario, parlando di nei, a Remco sembra mancare ancora qualcosa nel fachirismo puro delle grandissime e lunghissime salite, diciamo pedestremente nel supplizio della terza settimana. A Vingegaard può mancare ancora un po’ di incoscienza e di coraggio, di fantasia e anche di sana follia. A Pogacar si può invece imputare un deficit di autocontrollo e di misura, doti comunque necessarie a lungo termine e negli stress interminabili dei grandi giri.
Devo dire che mi viene anche un po’ da ridere cercando difetti e lacune in questi tre capolavori. Detti da un italiano, poi. Ma si fa per divertirci un po’ col puro e sano ciclismo, prendendoci una licenza premio dai mesi di pasticci cattivi e di intrighi oscuri che con le corse vere e proprie c’entrano poco. Volesse il cielo che si potesse sempre e solo parlare di campioni. Purtroppo non è così, non può essere così, perché le corse e i campioni non sono un’isola felice, una repubblica a parte, una zona franca, dove non arriva l’ombra lunga della politica e dei poteri. In ogni caso, prendendoci questa licenza, possiamo ben dire che nei prossimi giri avremo tutte le intriganti risposte che cerchiamo. Ai tre purosangue una sola richiesta: ragazzi, continuate a cercarvi e a sfidarvi senza calcoli e inibizioni, non facciamo che a un certo punto cominciate a evitarvi e a spartirvi la stagione, uno va al Giro, uno va al Tour, uno va alla Vuelta. Non avete l’aria d’essere così, continuate a non averla.
Poi, a noi resta il compito più piacevole. Scegliere. E siccome non è mai bello uscire da questi derby con atteggiamento democristiano, come farebbero al “Processo” gli opinionisti senza opinioni, al grido tutti e tre fortissimi tutti e tre bravissimi, io faccio subito la mia parte: nonostante tutto, dovendo fare un nome già adesso, continuo a dire Pogacar. Mi pare che comunque abbia qualcosa in più. Pronto fra cinque o dieci anni a dire che non ci ho capito niente. Non è un problema, non ho ambizioni da Mago Otelma. Il futuro è un libro da leggere, non da scrivere.