Scalogna mondiale
di Cristiano Gatti
Alle volte, i casi della vita: se solo sei mesi fa ci avessero chiesto quale nazione - nazionale - fosse più attrezzata per i Mondiali di Innsbruck, nove su dieci avremmo detto Italia. Magari non la più attrezzata in assoluto, comunque una delle più attrezzate. E tutti a considerare perfetta per quel genere di percorso molto carogna una squadra con Nibali a Aru. Non solo nazionalismo e tifo patriota, anche molta logica. Oggettivamente, sembrava l’anno giusto per tornare a farci un pensierino serio. Senza illusioni, solo con sano realismo.
Poi però ci sono i casi della vita, che non si rassegnano mai a sottomettersi, ad allinearsi, a piegarsi, ubbidendo docilmente ai nostri desideri e alle nostre brave previsioni sensate. Questi casi del 2018, in rapida successione, ci hanno praticamente segato le gambe alla base, demolendo in un amen tutti i progetti azzurri. Il percorso resta duro e selettivo, cambiano radicalmente le nostre prospettive. E ancora una volta, come fosse ormai una condanna inoppugnabile, ci ritroviamo a partire per il Mondiale con molti dubbi, tante paure, poche possibilità.
C’è poco da rimestare, nessuno può scordare e rimuovere le vicende di questi ultimi mesi. Comincia Aru, perdendosi via via in un labirinto personale dalle difficili soluzioni, con il tracollo epocale sulle Alpi piemontesi, dopo aver penato l’inimmaginabile lungo tutte le strade del Giro. Certo il sardo ha cominciato poi un complicato percorso di ricerca, alla ricerca di se stesso, ma proprio non riesco a immaginare come lo si possa considerare una carta buona in chiave mondiale. Ci vuole troppa fiducia, quasi un incosciente ottimismo, per immaginare già così presto un Aru uguale al primo Aru, all’Aru che conoscevamo e che ci siamo persi sui tornanti d’Italia.
A seguire, il capolavoro del secolo: proprio quando Nibali, il nostro vero cavallo per Innsbruck, dà segnali rassicuranti sulla sua piena efficienza, fisica e mentale, eccolo abbattuto sull’Alpe d’Huez da uno dei dementi che ormai flagellano le grandi salite del ciclismo. Tutto un inverno di programmazione, di fatiche, di sogni e di piani, tutto disarcionato e buttato al vento, assieme a un Tour che comunque prometteva niente male. Grazie a quel colpo di genio, Nibali si ritrova in un attimo senza più niente addosso: senza un’ipotetica maglia gialla, ma temo fortemente anche senza l’agognatissima maglia iridata, tutto un corredo che va al macero preventivamente, ancora a livello di speranza, assieme alla medaglia d’oro olimpica già smarrita con la famosa caduta in discesa, proprio sul più bello dell’avventura.
So già che il carattere e l’orgoglio di Nibali ci indurranno a sperare nel miracolo di una ripresa alla Lazzaro, ma non dobbiamo dimenticare l’entità del sinistro che l’ha appiedato in Francia. Per quanto lui ce la stia mettendo tutta per tornare il Nibali di sempre, non è detto che il capolavoro riesca. Questo Mondiale si preannuncia proprio tosto per benino, in quella giornata serve un campione in piena efficienza, non un convalescente che esce dalla peggiore estate della sua carriera. Poi Nibali ci ha già sorpresi vincendo l’ultima corsa che dovrebbe vincere, la Sanremo, per dire quanto il temperamento e il talento siano al titanio, ma onestamente è ingiusto pretendere a priori che domini il Mondiale. Se ce la fa, tra tante imprese di carriera, questa diventerebbe in assoluto la più strepitosa.
E allora? E allora non vorrei essere nei panni di Davide Cassani. Da quando è ct, gli è toccata una sfilza di Mondiali disegnati su misura per farci perdere. La prima volta che gli mettono per le mani una corsa allettante, adeguata al nostro profilo nazionale, si ritrova a perdere per strada i suoi uomini più specializzati. Di sicuro non è tipo da starsene a casa: se ha un pregio, già da quando era corridore, è proprio quello di combattere fino all’ultimo metro, anche contro la logica e l’evidenza. Sicuramente farà di tutto pure stavolta. Ma la vedo grigia. Temo seriamente che l’impegno, anche questa volta, sia al di sopra delle nostre possibilità. Nessuna paura, comunque. Non abbiamo più niente da perdere. Abbiamo già perso tutto sull’Alpe d’Huez, grazie a quel cretino.