Gatti & Misfatti
Pantanificio

di Cristiano Gatti

Secondo la più scontata delle previsioni, la morte di Pantani è solo un inizio. Parlo naturalmente del pantanificio, cioè di quell’impresa senza sede fissa e senza titolare unico che si occupa di tenere in vita il ricordo. In sè, la ragione sociale di quest’impresa è nobile e meritoria: quando un campione scompare, il mito deve sopravvivergli. Ben venga perciò tutto quanto serva davvero a perpetrare nel tempo e nella memoria l'immagine gloriosa della leggenda che fu. Ma c’è un piccolo ma: bisogna farlo con garbo e con rispetto. Bisogna sapersi fermare un passo prima degli eccessi, delle pataccate e del kitch. Altrimenti finisce come in certi luoghi di culto e di preghiera, dove tra candele e crocefissi compaiono yo-yo e maglie numero dieci di Maradona.

A due mesi dalla morte, il pantanificio contempla già una mole monumentale di prodotti aziendali. Nel campionario c’è un po’ di tutto, a partire dalle prevedibili videocassette con le imprese più belle. Il resto, a seguire. Un genere che tira molto è l’intervista sul filo dell’io lo ricordo così (strano, adesso sono tutti suoi amici intimi: ma non s’era detto che l’avevano lasciato solo?). Quindi, le intitolazioni: in attesa di strade e piazze (Cesenatico è l’unica comunità che davvero dovrebbe avere da subito una piazza Pantani), abbiamo occupato praticamente l’intero arco alpino e appenninico di Cime Pantani. Anche le corse più astruse, là dove magari Marco non è neppure mai arrivato, si sono date o pensano di darsi una Cima Pantani che nobiliti l’evento.

Qualcosa mi lascia prevedere che comunque il meglio debba ancora arrivare. Quanto prima, per esempio, ci travolgerà una catasta di libri (mezzo secolo dopo, siamo ancora qui a editarne su Coppi, tutti inevitabilmente scopiazzati dai primi). Libri fotografici, libri di ricordi, libri verità. Per quanto mi riguarda, voglio subito dichiararmi: conosco soltanto due giornalisti, in Italia e nel mondo, di cui leggerei avidamente un libro-verità su Pantani. Per fortuna, oltre che colleghi, sono amici fraterni. Si chiamano (in ordine alfabetico) Angelo Costa e Pier Augusto Stagi. Credo che ai lettori di tuttoBICI i due nomi non suonino del tutto nuovi. Questi due signori, nell’ambito del giornalismo contemporaneo, sono gli unici testimoni che conoscono la vera verità sul compianto campione. Gli altri, pur stimabili per mille altri motivi, su questa vicenda sono sempre andati ad orecchio. Anche quelli che dicono immancabilmente di saperla lunga. Niente: spero solo che un giorno Costa e Stagi si decidano a raccontare per filo e per segno questa storia bellissima e angosciante. Farebbe bene a tutti: anche a quelli che la stanno già scrivendo per sentito dire.
Il ricordo, che cosa difficile. L’operazione memoria è quanto di più ostico e delicato possa toccare a chi sopravvive. Nel ramo sono negato, più che in tante altre cose. Se però dovessi proporre qualcosa, anche perché è troppo facile criticare soltanto, credo che a istinto procederei più sulla qualità che sulla quantità: lasciando il mito di Pantani soprattutto ai luoghi e alle persone che l’hanno cullato per 34 anni. Nello specifico. Dopo la piazza Pantani, a Cesenatico gli dedicherei anche un bel museo e una bella giornata di ciclismo pedalato, con una gran fondo dove si ritrovino vecchi amici, vecchi tifosi, e magari qualche ragazzo che voglia sapere. Tutti insieme allegramente, su e giù per le strade d’allenamento di Marco. Vietatissimi cronometraggi e ordini d’arrivo. Calci nel sedere agli scarti del professionismo che arrivino in zona per vincere su impiegati e studentelli.

Dopodiché, le montagne. Solo due, non di più: una gialla e una rosa. Il Tour, più dell’Alpe d’Huez, dovrebbe dedicargli il Galibier, dove davvero il genio e la sregolatezza di Pantani, un giorno freddo e piovoso di qualche anno fa, sconvolse i rigidi schemi delle corse e soprattutto i nostri sentimenti di tifosi. Quanto al Giro, non è nemmeno il caso di sprecare parole: Mortirolo. La signora delle montagne, la più montagna di tutte, l’unica davvero degna di un simile re.

Il resto avanza. Bisognerebbe risparmiare energie per coltivare il gusto unico del ricordo intimo e personale. A ciascuno il suo Pantani: chi se lo ricorda di persona sui Campi Elisi, chi in televisione nel mezzo di una giornata qualunque. Poi, volendo, se ne fossimo capaci, gli si potrebbe concedere l’omaggio forse più alto e più nobile, affidando alla sua storia incredibile e tragica il valore simbolico di grande monito, soprattutto per i nostri ragazzi. Senza inutili eufemismi, senza false paure, si potrebbe dire così: ragazzi, occhio, la cocaina è una bestia terribile. Non è vero che ormai la usano tutti, non è vero che è un bel gioco, non è vero che una sniffata non fa male a nessuno. Grazie alla faciloneria e alla superficialità di tanti adulti, che forse ridimensionano il problema perchè a loro volta ne sono vittime, la cocaina sta diventando un cancro sociale. Perché rispetto ad altre piaghe gode di questa fama leggiadra. Ecco, un omaggio al nostro amato campione potrebbe concludersi proprio così: ragazzi, attenzione, di cocaina è morto persino Pantani. Che era Pantani.
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