Editoriale
Il silenzio dei colpevoli. Sono molti i lettori che ci hanno scritto in questi mesi per chiedere come mai non parliamo più di Francesco Casagrande o Rodolfo Massi. Perché non pubblichiamo nemmeno una mezza foto. La ragione è molto più semplice di quanto si possa pensare. tuttoBICI ha deciso di dare un piccolo segnale. Invece di mettere alla gogna gli atleti pizzicati dai controlli doping o inquisiti per altre non nobili ragioni, abbiamo ritenuto più efficace ignorarli. Non parlarne. Fare in modo che la loro visibilità si perdesse nell’oblìo. L’abbiamo fatto per questi due, lo faremo per altri.
Che questo sia un momento molto delicato per il ciclismo l’hanno capito tutti fuorché gli interessati. I corridori si sentono ancora vittime, le società accusano i media di speculazione e, intanto, la magistratura continua la sua sacrosanta battaglia che certamente porterà a molte lacrime ma anche a uno sport (e dico sport, non ciclismo) più pulito e credibile. E così pure i giornali, la televisione, la radio, tutti i mezzi di comunicazione potrebbero e forse dovrebbero dare a questo punto un segnale forte. Noi abbiamo deciso di contribuire a questo processo moralizzatore con un gesto. Se non altro per amore di uno sport che non si merita più di essere costantemente maltrattato dagli eventi. Se non altro per rispetto vostro, dei lettori, degli appassionati delle due ruote che hanno il diritto di poter tifare e gioire per l’uno o per l’altro beniamino senza che il tarlo del dubbio vada a minare costantemente qualsiasi prestazione.
Il nostro non è altro che un «silenzio dei colpevoli»: il nostro silenzio nei riguardi di quei corridori che vengono trovati con il sorcio in bocca. Non vogliamo fare processi né tantomeno demagogia: più semplicemente ignoreremo senza dimenticare. Perché non potremo dimenticare. Ogni minino errore non sarà capitale ma andrà a incidere sul giudizio che noi avremo dell’atleta in questione.
È una sorta di autodifesa, anche perché sappiamo benissimo che non possiamo più aspettare oltre. Stanno succedendo cose troppo importanti e allarmanti che potrebbero andare a minare in modo irreversibile la credibilità del nostro sport. Non ce la siamo mai sentita di considerare i corridori delle vittime e men che meno oggi. Forse lo sono stati, fino a qualche tempo fa. Ma chi di questi tempi ha deciso di continuare a far ricorso a sostanze illecite e continua a mettersi nelle mani di questi ammalianti stregoni lo fa con lucido opportunismo, senza però aver capito la cosa più elementare e importante: che la magistratura non sta certamentte scherzando. E dire che tra avvisi di garanzia, interrogatori, perquisizioni e anche arresti eccellenti effettuati oltr’alpe qualcosa dovrebbero aver capito. Questo non è un gioco: i magistrati stanno facendo sul serio. Ma i corridori proseguono imperterriti: come se nulla fosse accaduto e successo. Come se gli abitanti di Belgrado all’udire della sirena antiaerea uscissero in strada sereni e felici, convinti d’aver finito un’altra giornata di lavoro.

Procuratori «guardoni». Bisogna fare diversi passi indietro. Dobbiamo recuperare alcuni valori che il ciclismo della programmazione, delle tabelle, dei cardiofrequenzimetri ha in parte perso. Dobbiamo soprattutto recuperare il gusto della valutazione tecnica. Del direttore sportivo che osserva il ragazzo promettente e ingaggia con se stesso la sfida: potrà essere questo giovanotto un campione nel mondo del professionismo? Potrà questo giovane talento degli Under 23 sfondare nella categoria maggiore? Domande che oggi trovano di rado risposte, anche perché pochissimi, ormai, si pongono la domanda. Ci sono sempre meno tecnici nel gruppo, che sanno valutare, individuare, capire le capacità tecniche di una baby-promessa. L’unico metro di valutazione che si conosce e conoscono i nostri tecnici è: quanto ha vinto nelle categorie minori? Se ha vinto tre o quattro internazionali, qualche titolo italiano e magari c’è scappato anche qualche alloro iridato, allora vengono presi in cosiderazione. Ma fin qui ci arriveremmo anche noi. Il discorso cambia radicalmente quando ci si trova davanti a ragazzi che nelle categorie minori hanno ottenuto buoni risultati ma potrebbero essere molto più efficaci in una categoria che valorizza atleti di fondo e molto più portati alla battaglia. È qui che dovrebbe venire fuori l’occhio lungo del tecnico. Diciamola più semplice: scovare l’Ivan Basso di turno non è poi così difficile, anche perché da scoprire c’è ben poco. C’è solo da sperare che il suo talento trovi compimento anche tra i pro. Ben diverso è scommettere su Stefano Garzelli, che quando passò non aveva certamente il pedigree del predestinato.
Lo stesso possiamo dire per il lituano Raimondas Rumsas, l’oscuro vincitore della Settimana Lombarda, che continua a vincere e che nessuna squadra italiana di grido ha saputo individuare. E dire che a Valkenburg, nella sfida iridata vinta da Oscar Camenzind, raccolse un incoraggiante quanto prezioso nono posto. Un pivello non dev’essere certamente. Eppure, solo dopo la «Lombarda» ci si è accorti di lui e si è scatenata attorno a questo ventisettenne lituano un’asta degna di un piccolo campioncino. Ma i direttori sportivi - che adesso si lamentano perché sono costretti a dover dialogare e trattare con il suo procuratore - hanno perso l’ennesima corsa: prima di loro ci sarebbe arrivato il bravo Beniamino Piro, agente «guardone» (nel senso di osservatore) di molti atleti, che ha visto più in là di quanti sarebbero deputati a vedere. Se poi le squadre cominceranno ad essere allestite dai procuratori e non più dai tecnici, non dovremo stupirci: sappiamo il perché.

Pier Augusto Stagi
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