Scripta manent
Commesso, Karstens e un «bel Tour»...
di Gian Paolo Porreca

E ce l’hanno donata, una ragione di più, per amare ciecamente il ciclismo, oggi che il napoletano Commesso ha vinto un’altra volta al Tour, e proprio a Friburgo! Una intima ragione di più, se ogni storia d’amore è una storia personale, sia indifferentemente in ballo la passione per una donna o quella per uno sport... Cosa volete da noi, ma siamo ancora di quelli che cercano gli auspici celesti per orientare i propri umori, e che Commesso abbia vinto proprio in quella Friburgo dove a suo tempo vinse, nel 1971, il buon amico amico Gerben Karstens, quel ciclista olandese che a Napoli per nostra delega venne letteralmente “adottato”, ci è parso un segno favorevole degli dei (del ciclismo). Una coincidenza, un ammiccamento che ci coinvolge ancora emotivamente, noi che di questo Tour volevamo dettare un commento ironico...

«Ma che bel Tour abbiamo visto», volevamo scrivere con malcelata diffidenza. Che bel Tour da ritorni alla luce, di libere uscite, di riscatti totali dal dolo... Che bel Tour, nella sua interezza, a cui chiedere umilmente scusa. Già, c’erano campioni di nome Ochoa Palacios, Botero, Christophe Moreau, nel gruppo e non ce ne eravamo mica accorti. Pardon, che errore da matita blu. basta stare in una squadra spagnola, ormai, per volteggiare sulla corsa, obviously. Sia la Kelme o la Vitalicio, siamo lì: e domani ci sarà l’Euskadi. L’importante è l’allenamento, la preparazione, la volontà, la convinzione. Chi lo avrebbe mai dubitato?
E non rimettete in ballo le solite maldicenze da nichilisti o peggio da sconfitti - scusateci se abusiamo di certi termini impropri cari, poniamo, ad un Argentin - ricordando che Ochoa Palacios lo conoscevate solo per essere stato fermato alla partenza del Giro ’99, per ematocrito alto. E che il mitico Santiago Botero, con tutto il rispetto per i dolorosi problemi della Colombia, già proposti al Giro dall’incredibile Peña Grisales, non avevate motivo di conoscerlo se non per la squalifica per il rapporto irregolare testosterone/epitestosterone, da verosimile doping.

E quale giusta buena suerte, poi, a poter pure certificare - a posteriori, ovviamente - che tali difetti erano per ambedue costituzionali, purtroppo. E non prodotti con l’artificio farmacologico (ma che provvida ’sta Kelme, affiliata della Croce Rossa, pronta a far del bene ai malandati...).
E continuando con Christophe Moreau - Moreau il giovane -, il biondino della Festina, voi lo ricordavate al massimo come uno di quei francesi della squadra francese - come Rous, come Brochard - sospesi per sei mesi dall’UCI dopo aver confessato l’utilizzo “societario” di EPO al Tour del ’98.
Quella Festina, dunque, che nel ’99, sotto stretto controllo delle istituzioni, con un nuovo medico francese - la dottoressa Claire Condemine -, non vinceva neanche un Criterium e che quest’anno, con uno staff interamente rinnovato ed interamente spagnolo - medico, direttore sportivo e team manager - sembra ritornata la squadra dei predatori pre-98, con Moreau e Beloki che svettano dimagriti, liberi e belli. Ma che bel Tour di sorprese e redenzioni di massa, sul bordo dell’amnistia, dove lo stesso patron Leblanc così integerrimo l’anno scorso da non accettare alla partenza la Vini Caldirola, per lo stop imposto in Svizzera al suo leader Gontchar per l’ematocrito alto, sbraca di grosso consegnando le chiavi del regno alla inconsistente Memory Card danese, nonostante avesse nelle sue fila - e in gara al Tour! - Bo Larsen, beccato in primavera, sempre per la stessa irregolarità ematica.
Dio mio, in che modo singolare passa il tempo nel ciclismo, se Erik Dekker, bloccato ai campionati del mondo in Veneto nel ’99 per il solito ematocrito irregolare, riesce a vincersi tre tappe d’autore, vivendo un Tour tutto di corsa: di fuga, anzi... Bravo, anzi una dose di bravo presa tre volte.

Quanto a Pantani, si sa, è tutta un’altra storia, un altro registro. E di problemi gastrointestinali, fra colpi di freddo ed alberghi improvvidi, tali da ridurre allo stremo un atleta, nel corso di una gara massacrante come il Tour, non costituiscono mica una novità. E d’uopo un assoluto rispetto della privacy, al cospetto dei ritiri improvvisi, come insegnò Bernard Hinault, lasciando notte tempo la Grande Boucle, nel 1980, manco dovesse partorire, nell’incertezza mai svelata tra un male a un ginocchio ed un abuso di cortisone. Massimo rispetto, anche negli abbandoni contemporanei di gruppo, o di gruppetto?, come è accaduto ad un plotoncino di Mapei. D’altronde, è risaputo, il sospetto è lecito solo per le squadre olandesi: dalla PDM in giù. E poi, come ha dichiarato con il consueto coraggio Giorgio Squinzi, nella Mapei è vietato quel doping ematico che sarebbe tassativo per finire i grandi Giri nei primi 5 (o nei primi 10, dottor Squinzi?).

Basta, torniamo al corsivo. Ma che parlamm’a ‘ffa, se il mondo gira come gira ed il ciclismo semmai più velocemente e se ad esempio dell’ematocrito fuori norma di Didier Deschamps e del nandrolone esagerato di Christian Dugarry non se ne frega nessuno? E se le provette di urine per scoprire l’eventuale EPO saranno svelate chissà quando, come i misteri di Fatima, chi avrà l’anima di recuperare la refurtiva? Mentre Sandro Donati già prefigura l’uso di emoglobine sintetiche, al posto dell’eritropoietina, noi siamo stanchi di seguire chiunque.
E sia stato questo Tour, poniamo, sospeso in una perenne volata fra Perplessità ed Entusiasmo, una presa per i fondelli, a noi ci redime in extremis questa galeotta presa per il cuore. Di Commesso, nel nome di Karstens, a Friburgo. E di una Napoli über alles.

Gian Paolo Porreca,
napoletano, docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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