Editoriale
Ignorati o ignoranti. Per giorni l’Italia intera ha trepidato per il pancino dei calciatori: è mai possibile mangiare un piatto di spaghetti all’ora del caffelatte? Ne hanno parlato un po’ tutti: dai politologi alle portinaie d’Italia. Interviste televisive e reportage minuziosi sui più autorevoli quotidiani del Belpaese: la partita Parma-Juventus all’ora di pranzo è stata qualcosa di straordinario che ha scosso le più aride coscienze. Non tanto perché la si giocava alle ore 13, quindi due ore prima del regolare (ma di regolare oggi nel calcio cosa è rimasto?) inizio delle partite in periodo invernale, ma perché costringeva i giocatori a mangiare un piatto di spaghetti e un prosciutto con mozzarella alle nove del mattino. Una cosa tremenda, per il mondo del calcio. Tremenda e inconcepibile: soprattutto intollerabile. Va bene giocare le partite a notte fonda, su un campo completamente ghiacciato e con la colonnina di mercurio abbondantemente sotto allo zero, ma ingurgitare un pasto completo all’ora di colazione è davvero troppo. Neanche gli avessero proposto di fare una cura a base di olio di ricino. Tant’è che questo era il pensiero dominante di molti osservatori di sport, che con lo sport c’entrano come i cavoli a merenda (pardon, i cavoli un giorno li mangeranno anche a merenda...) ma quel che è stato ancora più inconcepibile è che a far da gran cassa a questo «caso di alimentazione violenta» si sono messi anche i medici sociali delle squadre, che in parole povere hanno pressappoco chiesto alla nazione: ma chi di voi si mangerebbe un piatto di spaghetti alle nove del mattino? Bella domanda. Peccato che essendo del mestiere - cioé medici sportivi - avrebbero dovuto sapere che sono molti gli atleti a dover «pucciare» lo spaghetto nel caffelatte: ciclisti, sciatori, fondisti, maratoneti, per citarne solo alcuni. Avrebbero dovuto sapere che in particolare per i ciclisti, il fare un pranzo completo, non alle nove del mattino ma bensì alle sei, è ormai una consuetudine. Il dottor Massimo Manara, medico sociale del Parma calcio, su La Gazzetta dello Sport di domenica 9 gennaio, ci spiega: «A livello fisiologico l’anticipo di due ore, dalle 15 alle 13, non comporterà grandi cambiamenti. Il problema sarà il pasto perché non c’è l’abitudine a mangiare un piatto di pasta la mattina appena svegli». Nel sommario, la redazione della rosea traduce il concetto così: «Il problema è il pasto: chi si mangerebbe un piatto di pasta appena sveglio?». Belle domande: un po’ difficili da digerire.

Esasperati da esasperare. Domandina semplice semplice indirizzata agli uomini di buona volontà e al nostro Governo federale: ma se il ciclismo giovanile è esasperato, se dobbiamo cercare di salvaguardarlo il più possibile abbassando l’eccesso agonistico, per quale ragione la Federciclismo ha deciso che per partecipare al prossimo Giro d’Italia Baby bisogna essere in possesso dei punti richiesti? Seconda domandina: ma chi il Giro l’ha vinto - mi riferisco non all’atleta ma alla squadra -, o magari ha avuto la fortuna di arrivare nell’ultima edizione sul podio oppure nelle vicinanze (prime cinque posizioni) perché mai non può essere iscritto di diritto? Le domande - se avranno il buon cuore - forse un giorno troveranno una risposta, ma per il momento resta una certezza: dalla Coppa San Geo - prima corsa in calendario - al mese di maggio, le squadre dovranno mettere subito alla frusta i loro uomini per guadagnare punti preziosi in chiave partecipazione al Giro. E se una squadra (teniamo conto che gli organici delle formazioni si stanno da un lato leggermente riducendo e dall’altro ringiovanendo) non ha uomini passisti, uomini in grado quindi di garantire nelle prime corse di stagione i punti necessari per le corse a tappe, cosa deve fare? E chi ha invece il talentino, quello che va un po’ dappertutto ma in particolare punta al Giro cosa deve fare? racimolare punti su punti nelle corse di inizio stagione con il rischio poi di arrivare a corto di energie all’appuntamento rosa? Questioni tecniche, buttate là, così tanto per parlare. Esattamente come fanno in Federazione, che buttano là i regolamenti, così, tanto per riempire le loro giornate.

Toni: chi l’ha visto? Chiedo scusa sin d’ora ai lettori per quanto andrò a scrivere. Chiedo profondamente scusa, soprattutto, per la persona di cui mi accingo a parlare: Marco Toni. E chi è? si chiederà il malcapitato lettore. E chi lo sa, diciamo noi. È proprio per questo che ho deciso di parlarvene. In verità si tratta di un vero e proprio appello: chi l’ha visto, ce lo segnali. Dando una scorsa ai «quadri» federali si scopre che è il responsabile del settore dilettanti della Struttura Tecnica Federale. Insomma, una branca molto importante del nostro movimento. Il motore tecnico di tutta la grande famiglia del ciclismo minore. Di lui sappiamo solo che un bel giorno si è candidato a sindaco a San Giuliano Milanese e, una volta vinte le elezioni (complimenti vivissimi), non si è fatto più vedere. Piccolo particolare: tutte le disposizioni e i regolamenti che vengono emessi continuano da mesi a portare in calce la sua bella firmetta, ma in piazza Luigi di Savoia 2, a Milano, non lo vedono da mesi. Se qualcuno ne sa qualcosa, ci faccia sapere. Altrimenti si accettano volontari. Non preoccupatevi: se non sapete fare niente o non capite assolutamente nulla, va bene lo stesso. Basta che gli interessati diano la propria disponibilità a riproporre in calce la loro firmetta, e fare qualche capatina a Milano di tanto in tanto. Senza nessun impegno: loro ne sarebbero felicissimi lo stesso.

Dilettanti professionisti. Sono i figli di nessuno. È il mondo del ciclismo dilettantistico, che ha gli obblighi del mondo professionistico e le ambizioni di chi fa lo sport così tanto per divertirsi. Intanto, però, squadre élite e under 23 costano centinaia di milioni, i corridori fanno i ciclisti di professione, guadagnano il loro stipendio sotto forma di rimborsi spese, e di fatto, queste società sono fuorilegge. Non è forse arrivato il momento di correre ai ripari una volta per tutte e riconoscere a pieno titolo il semiprofessionismo? Mettere tutto in regola, nero su bianco, con direttori sportivi e corridori gratificati per quello che fanno e chiamati a rispondere di quello che fanno. Senza questo deprecabile, stucchevole, falso scudo del volontariato, che non esiste ed è giusto che non esista più.

Pier Augusto Stagi
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