Editoriale
BIODEGRADABILE

Il bilancio delle corse vinte dai nostri ragazzi è chiaramente in rosso, ma anche quello delle corse che sono riuscite ad andare in scena non è molto più incoraggiante. Sono tantissime le manifestazioni che sono state cancellate, spostate, messe in stand-by ad ogni latitudine, in qualsiasi categoria. Tra i dilettanti, per esempio, niente Coppa delle Nazioni, ma quel che è peggio, niente GiroBio.
Il grande progetto naufraga mestamente dopo sole quattro edizioni, sotto il peso dei debiti. Non ci sono risorse, si sbaracca tutto. Gian Carlo Brocci, padre di questo ambizioso progetto, che personalmente non ho mai amato fino in fondo per la retorica stucchevole che nascondeva neanche tanto fra le pieghe, e che si è alimentato in questi anni di ostinazioni, veti e fumisterie gergali, ha lanciato il suo grido di allarme. In verità l’aveva già fatto un anno fa e, quest’anno, in una riunione a Mercatale Valdarno, ha chiesto espressamente aiuto alle società: 5 mila € a testa di contributo per correre. Successivamente ha mandato una lettera, nella quale spiegava le ragioni di questa sua richiesta, e dopo poco si è visto recapitare una risposta dalle più forti formazioni nazionali che ribadivano con fermezza la loro intenzione a declinare l’invito: se paghiamo per correre, anche altri organizzatori si sentiranno in dovere di fare altrettanto, è stata la risposta.
Il GiroBio era nato per ridare credibilità ad un movimento che nel frattempo è rimasto impantanato in una infinità di scandali. Cose del passato, direte voi, ma quello che non ho mai accettato è che quei dieci giorni targati GiroBio fossero considerati puri veri e autentici, mentre tutto il resto no. Se il format sposato erroneamente dalla Federazione era così valido, in questi cinque anni andava esteso a tutto il movimento giovanile, non ci si può permettere di creare un’eccellenza e lasciare che tutto il resto appaia poco credibile.
GiroBio comunitario, nel senso in comune, non europeo. GiroBio nelle caserme, nei convitti, nelle case del popolo o negli ostelli della gioventù, per poi scoprire e leggere che per organizzare dieci giorni di corsa occorrevano almeno 600 mila euro: e come è mai possibile? Scoprire con assoluto dolore misto a sgomento che Brocci in questi anni ci ha rimesso più di un 1 milione di euro di tasca sua. Venire a conoscenza che il suddetto dorme in macchina e veste i pantaloni di suo figlio (parole dello stesso Brocci). Che a causa di questa scellerata iniziativa ora è costretto a vendere l’albergo di famiglia. E dalla stessa Federciclismo veniamo a conoscenza che però nel frattempo non ha pagato premi (40 mila €), alberghi e Polstrada.
Doveva essere «una corsa etica, ecologica e romantica al tempo stesso, ma non è stata compresa da tutti», ha spiegato Brocci a La Gazzetta dello Sport: probabilmente ecologica, romantica e poetica lo è stata, ma di etico fatichiamo a intravedere i contorni. Gli hanno chiesto di fare una gara meno onerosa, più snella, sei/sette giorni non di più anziché dieci, per contenere i costi. Ma Brocci è stato altrettanto chiaro e irremovibile, aut Caesar aut nihil: «Se devo organizzare qualcosa di diverso dal GiroBio, non è roba per me», ha risposto.
Deciso e determinato, ma anche poco chiaro. In un momento come questo, quando soprattutto ci si trova a chiedere contributi alle squadre e alla Federazione, è il caso di giocare a carte scoperte. Di far vedere i bilanci. Il Paese, la nostra povera Italia a fatica sta cercando di cambiare, e qualcosa effettivamente è già cambiato: la parola d’ordine è trasparenza. Ed è con questo approccio alle cose e soprattutto ai problemi che si deve proseguire il proprio cammino. Invece assistiamo ad un esercizio di abile affabulazione. Tanta retorica e pochi numeri. Seicentomila euro per dieci giorni di corsa, con il format del GiroBio? ci sembra tanto. Troppo. Non lo dico io, ma i tanti piccoli organizzatori ai quali mi sono rivolto per capirne di più. Ed è in questo contesto di chiarezza e trasparenza che chiedo a Brocci anche quale sia il suo ruolo nella società organizzativa dell’Eroica. Dice di farne parte. Dice che è una sua creatura. Bene. Un anno fa sono stati registrati 5.000 partecipanti, ben 3.200 si sono iscritti in sole 16 ore. Hanno pagato 35 € a testa, per un totale di 175 mila euro, senza contare i molti sponsor che giustamente appoggiano questa manifestazione che è un vero fiore all’occhiello per il ciclismo “d’antan” di casa nostra. È un affare colossale, tanto è vero che quest’anno hanno organizzato anche la Eroica Japan (il 2 maggio) e la Eroica 36 ore, dal 21 al 23 di giugno. Insomma, risorse dovrebbero essercene, anche per uscirne più dignitosamente, senza disseminare debiti in giro per l’Italia. Questa non è promozione al ciclismo, ma incentivazione all’odio verso chi si occupa di biciclette.
Personalmente la cosa mi addolora, perché quando una persona rischia di rovinarsi per inseguire con ostinata miopia il proprio sogno, la cosa può solo generare disagio, anche in chi non è direttamente coinvolto. Ma è in momenti come questi che è necessario per uscirne uno scatto in favore della chiarezza: con umiltà e senso di responsabilità. Solo allargando le braccia, caro Brocci, si può essere accolti. Il GiroBio deve tornare ad essere Baby. Per giovani uomini, per grandi ragazzi e belle speranze. Non un falso giardino dell’Eden dove per dieci giorni si gioca a correre a “pane e acqua” e poi si torna a fare quello che si è sempre fatto. Del GiroBio resterà poco, quasi niente, proprio come un qualsiasi prodotto biodegradabile…

Pier Augusto Stagi
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