Scripta manent
Le maglie di Post

di Gian Paolo Porreca

Ci mancherà, Peter Post, scomparso nei giorni scorsi, a 77 anni. Molto più di quanto mancherà tecnicamente al ciclismo che inizia la sua ba­garre di un anno nuovo, for­se. Molto più di quanto sarà mancato di devozione a chi narra del ciclismo oggi.
Ci mancherà tanto infatti di persona, come una figura ca­ra, Post. E non tanto per le sue vittorie sul pavè in favore di vento, come la Parigi-Rou­baix del ’64 vinta ad una media record, ad oltre 45 km/ora, che resisterà prima in eterno, o quelle su pista, ottenute in favore di neon, inanellando giri su giri nei velodromi di inverno, per un totale di 65 Sei Giorni vinte.
Ci mancherà intimamente, Post, lui che da campione di Olanda su strada nel ’63 sa­rebbe diventato poi il longilineo erede della saga di Gerrit Schulte, un secondo “olan­dese volante”, volante ancor di più, e mica per le sue vittorie da almanacco, bensì per quello che ha saputo nel ciclismo costruire successivamente, dopo l’addio forzato all’agonismo, imposto dai postumi di una rovinosa caduta nella Sei Giorni di Rotterdam, nel ’72.

Post è stato, difatti, il magistrale artefice del­la straordinaria epopea del ciclismo olandese, in quella stagione di tempo tra la fine degli anni ’70 ed i primi anni ’90 che resta per noi coniugata in maniera indissolubile ad una parallela rielaborazione letteraria. E, prima ancora, sentimentale.
Noi, che in verità non siamo cresciuti mai, siamo diventati anagraficamente maturi in sella ad una, anzi a due bici da corsa Raleigh - la prima ce la rubarono, per uno spi­rito da collezionisti, dalla ca­sa di Carano...-, e abbiamo ricevuto e dispensato emozioni, correndo sulle ali delle vittorie di quel “winning team” dalla ragione sociale in­glese che Post edificò in chiave rigorosamente olandese e diresse con sagacia nel decennio tra il 1974 ed il 1983. Già, la squadra Ti-Ra­leigh, splendida e abba­glian­te ancora in quella fotogra­fia, come in un ritratto di fa­miglia, immortalata ad una partenza di una cronometro a squadre di un Tour, da sil­labare nome per nome: Kne­temann Kuiper Karstens Raas Lubberding Van der Velde Winnen Oosterbosch Van Vliet, Leo non Teun, Peeters, - ohibò, Ludo Pee­ters, un infiltrato, non-olandese...-, ed un po’ di spazio pure per qualche gregario, Priem Van den Hoek Wji­nan­ds Velscholten...
E poi, ancora, più in qua nel tempo, a Ti-Raleigh am­mai­nata, e con una dose di scet­ticismo in più, forse, la nuo­va avventura di Post, con la Panasonic. E la sua ultima ambiziosa scommessa nel prediletto Eric Breukink, il ciclista gentile dai modi raffinati, che avrebbe sfiorato la vittoria al Giro d’Italia del 1988, secondo dopo Andy Ham­psten. E che l’anno pri­ma aveva indossato, a San Ro­molo, una effimera maglia rosa.

Ci mancherà, senza il suo Fellini, la fiction orange che ci ha colorato la stagione più romantica, e meno inutile, di una vita intera. Noi che in una città di mare e di calcio, Na­po­li, non abbiamo sentito mai nostri Maradona e gli ar­gentini, bensì incredibilmente Post e gli olandesi !
Ci mancheranno gli abbracci, ancora, di Post ai suoi vincitori. L’abbraccio a Jan Raas, dopo la Parigi-Roubaix del 1982. E quello, tenerissimo, in una giormata da tregenda, all’elegante Breukink, il viso da liceale adolescente, nella tappa di Bormio del Giro ’88. Il duro Post di­ven­tato chioccia, con Eric Breu­kink, cucciolo intirizzito.
Ci mancherà la severità calvinista. Quella di espellere l’ir­redento Karstens dalla Sei Giorni di Rotterdam del 1979, perché aveva provato ad innaffiare con una pompa gli avversari in pista.
Ci mancheranno i dolori, enormi. La scomparsa imma­tura del suo delfino Bert Oo­ster­bosch, nel 1989, al ri­tor­no da una corsa tra i dilet­tanti. E quella più re­cente di Ger­rie Knetemann, nel 2004. Senza un perché. Se non il ci­clismo ed il cuore. Ci man­cheranno la sequenza dei no­mi e l’aureola dei fiori che ci sembravano animare quelle giornate. Un ciclismo da gi­rasoli, quello olandese, quello di Post.

Ci mancheranno infine le maglie delle sue squadre: quella giallo-rosso-nera della Ti-Raleigh e quella seducente, un azzurro cielo profondo su uno sfondo bianco, della Panasonic.
Ma lo sai anche tu, Peter Post, dal Velodromo di lassù dove ti darai un cambio an­cora con Schulte e Pfen­ninger, e dove la campana dell’ultimo giro non suona più, che quelle maglie lì vi­vranno di una magìa senza scadenza di contratto. Quel­le, almeno, profumeranno sempre, per chi le ha carezzate con noi e riposte gelosamente nel primo cassetto del cuore, di un amore senza tramonto.

Gian Paolo Porreca,
napoletano,
docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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