Editoriale
ETICA & MORALE. Sono contro il codice etico, non perché amo un ciclismo privo di morale e rigore, ma perché non sopporto l’ipocrisia. Il ProTour era nato sotto altri auspici e con ben altri propositi. Tra le tante regole che i venti team di élite si erano date, c’era anche quella di una vigorosa presa di coscienza contro il doping. Due anni di squalifica, e poi porte chiuse del ProTour: un bel deterrente. Un bell’esempio da mandare in giro per il mondo sulla tolleranza zero. Ma un conto sono i buoni propositi, le buone intenzioni e un altro sono i fatti, le azioni.
Difatti, i fatti, sono ben lontani dalle regole che il ProTour si era dato. David Millar rientrerà a giugno con la maglia della Saunier Duval; la Gerolsteiner ha già in mano il contratto firmato di Danilo Hondo, che tornerà a marzo del prossimo anno. La Liberty ha vissuto un anno difficile, con gli ematocriti sballati di Nozal e Nuño Ribeiro (beccato al Giro d’Italia, e licenziato per finta, perché nella sostanza l’hanno mandato a correre con una formazione Continental portoghese, la LA Liberty Seguros) e ha terminato la stagione con lo scandalo Epo di Heras. Statene pur certi che anche Tyler Hamilton tornerà in gruppo, e lo farà entrando dalla porta principale di una squadra di ProTour: alla faccia del codice etico.
Quindi, siamo seri: o si applicano i regolamenti, oppure è meglio farsene una ragione. Al ciclismo la tolleranza zero proprio non piace. Lo dica a chiare lettere, e se ne assuma tutte le responsabilità. Senza incertezze e ambiguità. È una questione morale, se non etica.

LACRIME DI COCCODRILLO. Il ciclismo è bravissimo a farsi del male, nessuno meglio di noi. Qualche settimana fa, più precisamente il 9 gennaio scorso, La Gazzetta dello Sport riportava il grido di allarme di Roberto Petito.
«Cosa devo fare, pagare per correre?». Questo è quello che Petito non ha mai fatto, non ha voluto assolutamente fare, ma che in gruppo negli ultimi quindici anni hanno fatto: in molti. Ma questo è un malvezzo ciclistico? No, il ciclismo è il solo, o uno dei pochi, che si scandalizza. Perché è tipico del mondo del ciclismo lavare i panni sporchi in piazza, e rendere negativo ciò che per altri sport è dato come una consuetudine normalissima, tutt’altro che deprecabile. Max Biaggi perde lo sponsor? Non corre più in Moto GP. Ne trova uno più piccino? Ecco che torna a correre in SuperBike. E questa è la regola nel mondo dei rally, della Formula Uno, ma anche nel calcio minore, nel basket, nella pallavolo e chissà in quanti altri sport. Gli altri lo fanno senza imbarazzo, il ciclismo lo fa ma se ne vergogna maledettamente, versando lacrime di coccodrillo. «Non ci sono più i corridori di una volta...», dicono i tecnici più romantici. Sì, quelli che pagavano e sapevano tacere.

COME SONO UMANI. È da settembre che i giudici di gara sono sul piede di guerra. Motivo del contendere? Chiedono maggiore considerazione alla Federciclismo. Probabilmente i giudici hanno anche le loro ragioni, e sarà compito del presidente Renato Di Rocco ricompattare la categoria, ma spesso ci troviamo a parlare di rilancio, con la preoccupante miopia di tutti, anche dei giudici di gara, che applicano i regolamenti senza il benché minimo buonsenso. Qualche esempio? Seguitemi. Esiste una normativa internazionale che impone la chiusura del foglio di firma due ore prima del via. Se si tratta della Milano-Sanremo, non c’è problema: sono professionisti, si adegueranno. Ben diverso se questa regola viene riportata pari pari e alla lettera in gare di esordienti, allievi o juniores. Provate ad immaginare: partenza di una gara alle 9, chiusura del foglio firma alle 7. Domanda: a che ora si devono alzare un ragazzino, il papà, la mamma, lo zio, il direttore sportivo la domenica mattina, per arrivare in loco? Dicono i giudici: «problemi loro!». No cari miei, problemi nostri, problemi del ciclismo. Non lamentiamoci se poi i giovani decidono di cambiare sport. Altro esempio: l’Uci stabilisce che l’ultimo chilometro deve essere segnalato con un triangolo rosso. Accade però che, nelle gare giovanili, questo simbolo non sia molto conosciuto o non viene visto bene. Quindi, gli organizzatori, per ovviare al problema, espongono il classico striscione bianco di sei metri per uno con scritto “Ultimo chilometro”, a prova di imbecille. Bene, i giudici, finiscono per rifilare multe pesanti agli organizzatori. Altro esempio: nelle gare esordienti e allievi c’è il cosiddetto “controllo rapporto”. Tutti in fila davanti ai giudici a verificare che la propria bicicletta abbia la scala di rapporti adeguati alla propria età. Questo viene fatto anche sotto acquazzoni torrenziali, per 40-50 minuti, con ragazzini intirizziti dal gelo, che dopo si devono sciroppare tre ore di gara. I giudici: «E che problema c’è? se vogliono fare i ciclisti che si abituino a tutto». Domandina facile facile: non potrebbero verificare i rapporti a fine gara, ai primi dieci in classifica, a giochi finiti? Volete un altro caso? Se un ragazzino fora, i giudici applicano alla lettera il regolamento come se si trattasse della Sanremo: niente scie, niente macchina assistenza che ti facilita il rientro. Piccolo particolare: se resti dietro in una gara esordienti o allievi, sei spacciato. Il traffico viene riaperto e ogni incrocio è a tuo rischio e pericolo. Loro, i giudici, dicono: «Hai forato, hai perso troppo tempo, non riesci a rientrare? Ritirati!». Come sono umani. Lavorano proprio per il bene del ciclismo.
Pier Augusto Stagi
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