Editoriale

di Pier Augusto Stagi

CALMA. Sarà anche lui un boomer, uno che di sport sa poco, ma Alessandro Del Piero quando parla non dice mai banalità. È uomo di classe e pensiero, che ha un’idea precisa dello sport e di chi si deve occupare della crescita dei talenti, quindi gli educatori, i formatori. O se preferite gli allenatori, i preparatori, chiamateli come volete, se volete.
Dice Del Piero a Walter Veltroni sul Corriere della Sera: «L’allenatore delle giovanili bravo non è quello che vince il campionato della sua categoria, ma chi riesce a portare il maggior numero di ragazzi al livello superiore. Chi fa quel mestiere deve sentirsi un formatore, un insegnante di calcio, spesso invece punta solo a vincere, perché se arrivano i risultati allora fa carriera. È il metro di giudizio che è sbagliato. Ciò che conta è quanti ragazzi migliorano, non quanti punti hai fatto nella stagione».
È probabilmente un povero illuso, uno che si è perso nei meandri dei suoi pensieri e forse si è anche perso qualcosa, per quanto mi riguarda sono con lui. La penso esattamente così. Oggi ci sono tante professionalità nuove, e cara grazia che ci sono, ma queste dovrebbero essere convogliate nel modo più giusto e consono. Lo so, ormai c’è chi sostiene che non c’è più tempo da perdere, che se sei bravo devi avere il tuo spazio, anzi, te lo devi prendere: siamo al tutto e subito. Per tutti.
I ragazzi prodigio sono sempre esistiti, in campo femminile e maschile. Con i Coppi e i Merckx, gli Hinault e le Cappellotto, le Luperini e i Moser fino ai Saronni. Oggi abbiamo giovani di assoluto livello, come Pogacar e Evenepoel, ma già Vingegaard ha avuto bisogno di qualche anno in più per trovare la sua strada, così come Pidcock o Ayuso. Poi ci sono quelli che hanno un ottimo motore, ma necessitano di tempi maggiori e differenti, per una crescita più lenta e differita. Per dirla con Marco Ferradini, non esistono leggi in amore, ma nemmeno nel ciclismo. Basta essere quello che sei, ma è necessario che qualcuno deputato a farlo sappia guardare e valutare con attenzione: non tutti sono Pogacar. Non tutti sono Vingegaard o Evenepoel. Calma.

SOLO SULLA CARTA. I numeri sono impietosi, come spesso accade. La classifica per Nazioni di fine anno ufficializzata dall’Uci (Unione Ciclistica Internazionale) con la quale si stabilisce il numero di corridori che ogni Paese potrà schierare ai Giochi di Parigi 2024 (al via 88 atleti per genere) dice che siamo l’ottava potenza mondiale, così potremo presentare al via della corsa in linea di Parigi solo tre corridori, uno in meno del solito (le prime cinque: Belgio, Danimarca, Slovenia, Gran Bretagna e Francia, ne avranno quattro). Come noi, anche Spagna e Olanda.
È la settima stagione portata a termine senza una squadra di World Tour (l’ultima fu la Lampre nel 2016). Per noi solo 13 successi nelle prove di massima categoria, ottenute tutte in corse a tappe. E dire che avevamo cominciato nel modo migliore, con il primo acuto di Alberto Bettiol già nel prologo del Tour Down-Under in Australia; l’ultimo squillo ad opera di Jonathan Milan al Tour di Guangxi in Cina. Non vinciamo una corsa Monumento dal 2021 con Sonny Colbrelli alla Parigi-Roubaix, mentre per la “decana delle classiche” - la Liegi – bisogna tornare a Di Luca nel lontano 2007.
Cara grazia che abbiamo SuperPippo Ganna, secondo alla Sanremo e 6° alla Roubaix: due corse vinte entrambe da quel fenomeno di Mathieu Van der Poel. Se è per questo c’è anche Andrea Bagioli, secondo a Il Lombardia. Nei Grandi Giri siamo fermi al 2016, quando a vincere il Giro fu Vincenzo Nibali. Ciccone ha riportato la maglia a pois in Italia? Sì, certo, ma se è per questo è da 85 tappe che non si vince sulle strade della Grand Boucle: anche qui siamo fermi al 27 luglio del 2019 a Val Thorens, per mano e gambe del solito Vincenzo.
Non è un momento felice nemmeno per il numero dei corridori impegnati nella massima serie. Per farvi un esempio, nel 2004, il primo anno del ProTour, le squadre ammesse alla categoria WorldTeam erano 30, sei delle quali italiane. Gran parte di quei 30 team erano a carattere nazionale: i corridori italiani erano 110, dei quali 83 presenti in formazioni nazionali e gli altri 27 “forestieri”. Quest’anno i corridori italici nei team di massima divisione, il cui numero nel frattempo si è assestato a 18, sono stati 55, esattamente la metà di 20 anni fa e tutto lascia pensare che possano calare ancora nella prossima stagione: al momento sono infatti 49.
Per i team Professional (Eolo Kometa, Corratec Selle Italia e Green Project Bardiani CSF Faizané) la situazione è sempre più complessa, sia nel reperimento di sponsor che di talenti, perché questi finiscono regolarmente nei DevoTeam - le “squadre sviluppo” – dei team World Tour. La situazione in campo femminile, anche se al momento sembra migliore, mostra però alcuni segnali di cedimento: da una parte c’è in atto una preoccupante lievitazione dei costi (anche del 60%) che rendono i team femminili un progetto per pochi e dal 2025 lo spettro dell’introduzione delle squadre Professional con i loro minimi contrattuali e un numero minimo di atlete e personale, potrebbe mandare in sofferenza il già nostro malandato movimento.
Il diritto allo sport, come scritto lo scorso mese, è entrato finalmente nella nostra Carta Costituzionale, ma è necessario che la nostra politica capisca la strada da intraprendere. Interessa davvero lo sport? Abbiamo davvero a cuore questo comparto? Lo riteniamo strategico e socialmente utile anche a livello d’immagine planetaria? Allora che si creino le condizioni affinché lo sport possa essere portato avanti. Per il momento, con la riforma fiscale riservata alle società sportive si è andati esattamente nella direzione opposta. Occorrono forme di incentivi o di detassazione atte a mettere nelle condizioni le aziende di investire e sostituirsi allo Stato. Lo sport è diventato un diritto costituzionale? Bene, che non resti solo sulla Carta.

DOV’È LA VITTORIA? In copertina. Mi riferisco a Vittoria Bussi, la prima donna capace di percorrere in un’ora più di cinquanta chilometri. Un evento che ha fatto storia e che noi celebriamo come si conviene: con una copertina e un servizio del nostro Nicolò Vallone che è andato nel mondo di Vittoria e vi consiglio di farvi accompagnare. Merita.

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