QUELLO CHE INTENDEVAMO AL GIRO
di Cristiano Gatti
Èbastato aspettare un mese per capirci tutti meglio. Il mese che divide - non solo temporalmente - il Giro d’Italia dal Tour de France. Non c’è come vedere esempi pratici per rendere tutto più chiaro, superando pregiudizi e chiacchiere, equivoci e malintesi. Dopo tutto, a Vingegaard e a Pogacar dobbiamo dire grazie anche di questo. A loro e purtroppo anche ai francesi, magari spiace dirlo ma è proprio così.
Eravamo al Giro e alcuni di noi facevano notare la miseria dello spettacolo. Certo diventava inevitabile e spontaneo fare subito il paragone con il Tour, ma in quel caso bisognava parlare di pochezza in assoluto, anche senza paragoni. Un Girino rachitico e deprimente, poggiato in gran parte su quattro fuggitivi di giornata già noti il giorno prima, più o meno sempre quelli, e i big dietro a risparmiare anche la più piccola energia, perché non si dica che per vincere il Giro si debba soffrire di ernia. Tutto attorno, un gruppo di gente arrivata in Italia su precettazione, controvoglia, solo per obbedire a obblighi contrattuali, mai più spinta da romantica passione e insopprimibile ambizione. Tappa dopo tappa, stancamente, il tempo non passava mai. E lo spettacolo? All’inizio un po’ di Evenepoel, poi dopo la sua maldestra diserzione più nulla. Tutto rimandato e concentrato all’ultimo duello, nei pochi chilometri di una cronoscalata, unica giornata memorabile di quel maggio comatoso. Per pochi secondi, Roglic su Thomas, e via tutti a casa. Nel mezzo, le cartoline indimenticabili di Campo Imperatore pedalato come sul pedalò di Cesenatico (ostrega, c’era vento, e che diamine), nonché lo sciopero vilmente subito da Vegni per il maltempo fantasma della tappa svizzera. Pagine di una vergogna incancellabile, degno sigillo di tre settimane anonime e noiose.
Ricordo benissimo: il solo sollevare la questione, con motivazioni puramente estetiche, da semplici appassionati, scatenava la reazione - ovvia, prevedibile - dell’apparato, ma anche di tanta parte del pubblico, per la serie il Giro è sempre bellissimo, se non ti piace cambia canale e magari anche sport. Inutile provare un ragionamento, inutile pesare gli avvenimenti, qualificandoli serenamente in base alla pura osservazione. Niente. Subito guerra di religione. Quelli che amano il Giro e quelli che lo vogliono morto. Disfattisti e gufi. Già che ci siamo sicuramente cornuti.
Un mese, un mese soltanto e subito la controprova. Arriva il Tour e senza tante teorie arriva la dimostrazione di cosa s’intendeva dire. I due grandi big a darsi legnate, spolmonandosi persino sugli abbuoni, a partire dalla prima tappa. Tutti i giorni guerre atomiche per le fughe e per le tappe, fino al punto di sentire Ciccone, vincitore della maglia a pallini con mezza settimana di ritardo nella classifica finale, parlare comunque di giornata più bella della sua vita. In altre parole: spettacolo puro e semplice, tutti i giorni o quasi, con una gran voglia di fare, di provare, di osare. I più forti come i più sconosciuti. Un impeto corale, una passionaccia incontenibile, e se vogliamo comunque una indubbia professionalità di primissimo livello. Altro che gente iscritta controvoglia, per obbedire al diesse. Per andare al Tour, la gente ammazzerebbe madri e sorelle.
Morale? Niente di che. La morale è che questo si intendeva a maggio parlando di Giro poverino. Basta confrontarlo, un mese dopo, e tutto risulta più chiaro. Certo non lo devo confrontare io, che cerco di usare la mia testa e dopo aver visto tantissime corse posso azzardare una classifica di valore, anche solo in base al mio gusto personale. Ma certo dovrebbero riguardarli bene, Giro e Tour 2023, i trombettieri della Corsa più dura del mondo nel Paese più bello del mondo, il partito a testa bassa per cui il Giro è sempre bellissimo, stupendissimo, eccitantissimo. Devo dire che il primo di questi dovrebbe essere il padrone dell’azienda, sua Euforia Urbano Cairo, che anziché presentarsi al Giro ogni tanto per sparare la solita gragnuola di superlativi tanto al chilo - Giro fantastico, straordinario, eccezionale, strepitoso, memorabile, ormai siamo come il Tour - potrebbe una volta fare una puntata in Francia e osservare l’aria che tira. Temo però sia una speranza vana: ci sono personaggi che nascono perfetti, sono i migliori per definizione, non hanno niente da imparare, caso mai solo da insegnare. Bisogna dire che comunque i risultati si vedono.