di Pier Augusto Stagi
C’È SOLO DA IMPARARE. Abbiamo ancora il sapore dolce dello zucchero filato in bocca, dopo tre settimane di assoluta delizia, al luna park del Tour. Una festa per quanti amano questo sport, un inimitabile caravanserraglio multicolore che ha riempito le nostre giornate con uno spettacolo senza pari.
Lo si è detto e lo si è ripetuto, l’hanno notato immediatamente tutti, fin dalle prime battute che questa era tutta un’altra storia, ma è anche giusto ricordare a chi ha la memoria corta, che da queste parti e a queste latitudini, la storia è diversa da tempo, per non dire da sempre. È così e non è un dramma ammetterlo, dirselo, con assoluta sincerità. Come si dovrebbe fare generalmente: guardare valutare e provvedere al cambiamento sarebbe buona cosa per migliorarsi, anche qui da noi. I cugini francesi spocchiosi? Per quanto mi riguarda sono bravi, molto bravi e andrebbe riconosciuto da tutti, anche da chi continua a dire che non hanno nulla da insegnare. Forse gli spocchiosi, i presuntuosi e i pieni di sé siamo proprio noi.
Hanno il cast più bello del mondo, che arriva alla corsa non per onor di firma o a ultimare una preparazione in vista dei prossimi impegni agonistici, ma per onorare la corsa, in tutto e per tutto, offrendo prestazioni di alta qualità, che siano scalatori o velocisti, passisti o cronoman, attaccanti o cacciatori di traguardi volanti. Le fughe del Tour sono animate da corridori di livello e dal pedigree pesante, con una storia sulle spalle: questo fa la differenza e si vede.
Poi ci sono loro, i nostri cugini, che sanno confezionare il prodotto come pochi. Mi si dirà: anche loro però hanno i loro problemi con le cadute; anche loro non sanno dove tenere gli spettatori che ormai tracimano da ogni parte. Vero, verissimo, tutto è migliorabile, questo lo sappiamo bene, ma loro partono da un livello assoluto. Loro sono là, che ci piaccia o no.
Avete notato che per portare e riprendere il microfono a Jonas Vingegaard per il suo intervento sui Campi Elisi è stato utilizzato un valletto con tanto di cuscino in velluto giallo sul quale è stato appoggiato il “gelato”? Dettagli, quisquilie, intanto loro onorano il mondo, lo sanno accogliere e lo trattano di conseguenza. Il prossimo anno non prendete impegni, il meglio del ciclismo mondiale sarà in Italia: se la montagna non va da Maometto, il Tour verrà in Italia, per la prima volta nella storia con la sua Grand Départ Firenze-Emilia Romagna. Appuntamento al 29 giugno 2024. Non prendente impegni e qualcuno, se può, prenda anche nota: c’è solo da imparare.
PROVINCIALI. C’è chi storce il naso, per questo fatto di dare i soldi ai francesi. Soprattutto noi, soprattutto il mondo del ciclismo. Siamo ancora lì a disquisire se sia giusto o meno partire da fuori confine, che ormai per brand come Tour, Giro e Vuelta è una consuetudine. Nonostante questo, ogni volta si deve spiegare che sono eventi mondiali, che servono alla promozione del territorio. Il Giro è partito da Israele per mille e più motivi: economici, turistico culturali e, non ultimo, per innalzare il valore stesso del brand della “corsa rosa”.
Bene, torniamo al Tour: perché dare i soldi ai francesi?, dicono. Per le ragioni sopra elencate, ma anche per far conoscere agli italiani uno degli eventi sportivi più belli che ci sono al mondo. Perché il Comune di Milano dovrebbe pagare la Uefa per ospitare la finale di Champions League? Leonardo si vende da solo, così come il Cenacolo. Eppure un evento di tale portata aiuta, come un mondiale di calcio (Italia 90) o l’Expo e via elencando. Che ci piaccia o no, nel mondo - e dico mondo – conoscono due corse: il Tour e la Roubaix. Se Firenze e l’Emilia Romagna, con il Piemonte, decidono di investire per portare qui il mondo e mostrarsi ad esso, non è uno scandalo: è semplicemente una grande opportunità. Un modo per incominciare a non essere più provinciali.
QUEL FISICO DA BIMBO. C’è chi ama lui e chi ama l’altro. C’è chi apprezza la spietata concretezza di Jonas Vingegaard e chi l’esuberante forza di Tadej Pogacar. Io da appassionato non posso che essere felice di avere entrambi, di potermi nutrire di questi due ragazzi fantastici, anche se sono convinto che la variabile che rende la pietanza più prelibata è proprio data da quel Taddeo “quanto basta”, con il suo modo di correre e di affrontare le corse: tutte. Se non ci fosse bisognerebbe davvero inventarlo, perché il danese è troppo superiore a tutti e il ciclismo, con la Jumbo Visma, tornerebbe dritto dritto dove è stato per anni, ai tempi di Us Postal o Sky.
Taddeo è davvero l’antidoto ideale contro la noia, colui il quale scompagina le carte, che ci prova sempre e comunque, anche quando non sarebbe il caso. Detto questo, speriamo che non lo snaturino, che non lo convincano a diventare più attendista e ragionatore, perché allora la musica cambierebbe radicalmente. A noi piace questo ragazzo con la faccia da bimbo e un fisico che sembra persino acerbo: non smussato, non consunto, non logorato dall’attività fisica e dalle diete ferree. Guardate le gambe di Taddeo, sembrano essere quelle di un ragazzino allievo. Guardate il suo fisico è tutto fuorché quello di un atleta fisicamente prosciugato, al limite dell’anoressia. Forse per qualche allenatore il punto della sua sconfitta è da ricercare proprio qui, per me è semplicemente il suo bello: la sua meraviglia.