Un piede di Koulibaly
di Cristiano Gatti
Che estate di cattivi pensieri (citazione-omaggio all’indimenticabile Gianni Mura). Ce n’è uno, in particolare, che ci accompagnerà a lungo. In sostanza è un fastidioso raffronto, che più di mille analisi spiega molte cose su come vada il mondo e su dove possa andare il mondo del ciclismo.
Il mondo va, come sempre, dove vanno i soldi, e non c'è verso di cambiare le direzioni. Il mondo del calcio adesso va dove crescono i dollari sulle palme, nell’arcipelago luccicante delle lande arabe, che come tutti sappiamo galleggiano sui forzieri dei petrodollari. Dopo essersi fatti la rubinetteria d’oro in bagno, gli sceicchi si sono messi ad acquistare il divertimento del calcio, prima andandolo a comprare sul posto, in Inghilterra, ora - magari stanchi di fare tutti quei chilometri - spostandolo direttamente in casa propria, acquistando i pezzi migliori del mercato. Una volta cimitero degli elefanti, capolinea per gente quarantenne con la prima pancia, ora il calcio di quelle parti attira i colossi del settore, ancora vivi e vegeti: si prende il meglio senza neppure trattare sul prezzo, il prezzo è l’ultimo dei problemi.
È da giorni e giorni che a me rimbomba nelle orecchie una certa cifra. Koulibaly, ex centrale del Napoli, poi un anno al Chelsea, guadagnerà trenta milioni netti all'anno dall'Al Hilal, per tre anni. Mi limito a questo esempio, l’ultimo, per entità (spaventosa) della cifra e per livello (altissimo) del giocatore, così è sufficientemente chiaro dove davvero stia andando il mondo, quanto meno il mondo dello sport.
Ed è davanti a questo fungo atomico di soldi freschi che a me ancora di più viene il magone, pensando a dove - per contrasto, o forse per contrappasso - stia andando il ciclismo italiano. Per esplicitare velocemente: lo stipendio di un anno del buon Koulibaly basta e avanza per pagare una formidabile squadra in grado di dettare legge nel ciclismo mondiale, tipo Jumbo, tipo Ineos, tipo Uae, milione più milione meno.
Ora: escluso che un Koulibaly si prenda la briga di investire un anno dei suoi guadagni (dopo tutto, cosa gli costerebbe?) per fare uno squadrone della bici, a noi resta tutta la malinconia del confronto e se vogliamo anche di un inconfessabile complesso d’inferiorità. Questi in Arabia guadagnano dei Pil, noi qui in Italia fatichiamo a trovare un finanziatore da 2-3-5 milioni (chiedere eventualmente a Ivan Basso o alla famiglia Reverberi). Naturalmente, sto ragionando al limite, al limite del paradosso, perché a dirla tutta neanche il nostro calcio ha di questi finanziatori autoctoni, tant’è vero che se lo stanno comprando pezzo per pezzo i miliardari stranieri, individui o fondi non fa differenza. Il vero problema, la vera differenza letale, è che il nostro ciclismo non se lo compra nessuno, tanto meno i miliardari stranieri. Al massimo, ci prendono singole persone qualificate, qualche tecnico, qualche massaggiatore, qualche corridore degli ultimi rimasti. Ma in fondo, persino questo mini-market conferma la regola: ci considerano un’azienda in liquidazione, dove puoi scoprire qualche articolo ancora interessante a prezzi stracciati, mai e poi mai qualche danaroso d’alto bordo si sognerebbe di considerarci un grande investimento.
Lascio volentieri ad altri, gli instancabili dei dossier e degli stati generali, squadernare i motivi che ci hanno portati a questa deriva. Resta il fatto che dalla fine dei nostri grandi patron taglio umano (dai Salvarani e Molteni agli Squinzi e Fassa Bortolo), che non hanno mai fatto sentire la mancanza di investitori stranieri, tanto meno ci hanno fatto avvertire complessi d’inferiorità, da quella fine non abbiamo più conosciuto un solo giorno di riscossa o di rinascimento, come piace dire ora. Certo la crisi del settore ciclo è una delle tante crisi di un intero sistema Paese, ma indubitabilmente noi del ciclismo ci abbiamo messo qualcosa in più. Affidando l'elencazione di cause e rimedi ai premiati centri studi e agli uffici marketing, io mi fermo al risultato: un piede di Koulibaly vale più dell’intero ciclismo italiano. Mi fermo al risultato e ci resto di argilla. Comunque tranquilli: andrà tutto bene.