di Pier Augusto Stagi
NONOSTANTE TUTTO. Alla fine il Giro è sempre bello, comunque vada, chiunque lo vinca: perché è il Giro.
Per chi ama questo sport, noi come voi, è festa a prescindere. È gioia per il nostro cuore. È balsamo per la nostra anima. Per noi che l’abbiamo seguito dal vivo per l’ennesima volta (32 per la cronaca di un cronista) è stato un piacere che ci resterà nel cuore: per i compagni di viaggio (Cristiano e Angelo); per il viaggio; per le tappe; per l’incontro quotidiano con la grande famiglia del ciclismo; per le scoperte di una terra che presenta sempre gemme preziose e che la corsa rosa è sempre capace di donare. Come diceva quel tizio: comunque vada è già un successo. Ed è successo anche questa volta: nonostante la pioggia per trequarti della gara, nonostante una corsa non propriamente spumeggiante e combattuta è stato un bel Giro. Perché il Giro è bello a prescindere, anche dalla corsa.
E a prescindere è un buon motivo per volergli bene e seguirlo. Hanno passeggiato sul Gran Sasso? Hanno mortificato Crans Montana? Sulle Tre Cime hanno giocato a tressette? Amen. Noi ci siamo rimasti male, loro hanno perso una grande occasione per scrivere una pagina nuova di storia recente di ciclismo, di quelle che restano nel cuore. Non è necessario andare a scomodare i Coppi o i Bartali, Merckx o il Gavia dell’88. È più che sufficiente rammentare a tutti che Nibali sulle Tre Cime vinse sotto una bufera di neve e riscattò il Giro e il ciclismo scosso alla vigilia del tappone dall’ennesima positività di Danilo di Luca. Così come Chris Froome, che ci lasciò a bocca aperta per quello che seppe fare nella tappa di Bardonecchia. È successo tutto ieri, non un secolo fa. È il nostro ciclismo.
Non è un ciclismo d’altri tempi: è del nostro tempo. È quello della scoperta del Monte Lussari, che ha vibrato di passione e agonismo e ci ha pacificato con tutti e con tutto. Quaranta minuti di spettacolo puro. Poco di più. Per decidere un Giro che a prescindere è bello. Nonostante la corsa, nonostante tutto.
QUESTIONE DI FEELING. Uno dei momenti più delicati della corsa rosa è stato quando, dopo la trionfale cavalcata di Cesena, Remco Evenepoel ha alzato bandiera bianca. Il sospetto? Che abbia capito che non c’era trippa per gatti (in questo caso Cristiano non ha colpe…). Che con 40” di vantaggio non sarebbe arrivato da nessuna parte. Ufficialmente è stata una resa per Covid che ha spiazzato tutti, soprattutto gli organizzatori, che avrebbero meritato di sapere e condividere quella decisione, non di subirla. Nemmeno una telefonata. Nemmeno un grazie arrivederci. Questione di stile, per un feeling che forse non c’è mai stato.
POCO IMPORTA. Della tappa di Crans Montana sapete: prima abbassata (Gran San Bernardo) e infilata in un tunnel, poi troncata di netto per il protocollo condizioni estreme (Weather Extreme) da 199 a 74 km. Quella mattina pioveva fortissimo al via della frazione da Borgofranco di Ivrea (poi si è partiti da Le Châble), ma più su, verso la Croix du Coeur, il tempo era buono. Né pioggia né gelo. Il problema? Le app, che mettevano in allerta i corridori, il loro sindacato e i loro team. Non sono mancate le polemiche, come era logico che fosse. Gli ex corridori, tutti molto critici. Christian Salvato e Adam Hansen, presidente nazionale e neo presidente del sindacato corridori mondiale, pronti a chiedere scusa, con scritti e interviste di ogni genere e tipo. Il giorno dopo, i corridori del gruppo, tutti offesi per le critiche subite: chiaramente per quelle dei giornalisti. Perché la colpa è sempre la nostra. Poco importa che siano stati trucidati dal popolo social; poco importa che ex colleghi di chiara fama abbiano tolto loro la pelle; poco interessa che i loro rappresentanti - nazionale e internazionale - abbiano sentito poi la necessità di chiedere scusa.
PREFERISCONO ALTRO. Scrive Marco Bellinazzo su Il sole 24 ore del 28 maggio scorso: il ciclismo italiano cerca nuovi sponsor. Nulla di nuovo, lo sapevamo. Interessante invece il passaggio in cui spiega che da un report della Nielsen realizzato nella stagione scorsa, gli spettatori tv raggiunti durante gli appuntamenti dell’Uci WorldTour – in particolare il Tour e il Giro – sono stati 2,4miliardi per una copertura televisiva di circa 70 mila ore.
Scrive sempre Bellinazzo: «Per quanto concerne la Corsa Rosa nel 2022 sono stati generati dai team 218 milioni di euro di “QI Media Value”, di cui 80,5 milioni per i cosiddetti “title partner”, vale a dire lo sponsor che dà il nome alla squadra, grazie a 11.300 ore di esposizione. Numeri e tendenze che, d’altronde, trovano conferma negli ottimi dati di audience dell’edizione 2023. Nel caso del Tour de France quest’ultimo valore sale a 341 milioni di euro. Sempre secondo l’analisi della valorizzazione mediatica delle sponsorizzazioni, lo scorso anno al Giro, Eolo Kometa ha prodotto 11,5 milioni di QI media value, il 40% per il partner principale e il resto per gli altri brand». Insomma, dati che confermano la bontà dell’investimento nel ciclismo, ma al momento non sono sufficienti per ingolosire le aziende, che preferiscono altro.