Caruso, un quarto posto che vale

di Carlo Malvestio

Per fortuna che c’è lui, per for­tuna che c’è Damiano Ca­ruso. È un pensiero co­mune nella testa dei tifosi italiani, che anche quest’anno sono riusciti a vedere quantomeno un azzurro nella Top 10 finale del Giro d’Italia 2023. E non era affatto scontato, perché dopo il ritiro di Vincenzo Nibali, il covid dello sfortunato Giulio Ciccone e il salto di qualità di alcuni giovani che ancora tarda ad arrivare, il siciliano della Bahrain Victorious era veramente l’unico che, per qualità ed esperienza, potesse inserirsi nella lotta coi migliori nelle grandi tappe di montagna. Così è stato: Ca­ruso ha chiuso quarto in classifica ge­ne­rale, difendendosi egregiamente nel­la cronometro di Cesena, limitando i danni salendo sul Monte Bondone e a Val di Zoldo, e poi rendendosi protagonista di una prestazione maiuscola sulle Tre Cime di Lavaredo e sul Monte Lussari.
Così come per tutti gli uomini di classifica, dopo due settimane d’attesa, la differenza è stata fatta nella durissima terza settimana, che giorno dopo giorno ha messo in chiaro le gerarchie della Corsa Rosa.
Appurato che Primož Ro­glic, Geraint Thomas e João Almeida avevano un’altra marcia in salita, il siciliano ha presto capito che la sua vittoria sarebbe stata quella di arrivare ai piedi del po­dio. Il grande ostacolo per arrivarci è stato rappresentato da una delle grandi rivelazioni del Giro, Eddie Dunbar (Jayco AlUla), che salendo verso il Mon­te Bondone e Val di Zol­do è andato veramente forte e lo ha staccato in entrambe le occasioni, approdando mo­mentaneamente al quarto posto pri­ma delle terribili ultime due frazioni.
La reazione di Caruso è però arrivata nel tappone dolomitico con arrivo alle Tre Cime di Lavaredo, dove Dunbar ha pagato dazio e l’ex Liquigas è stato l’unico a riuscire a rimanere per un po’ di tempo con i fantastici tre davanti, ri­prendendosi alla fine il posto in generale.
«Non volevo regalare la quarta posizione tanto facilmente, anche perché pen­so sia un buon risultato per tutto il mo­vimento italiano. Nel tappone dolomitico abbiamo affrontato tantissimo dislivello, il Giau non è stato scalato a ritmi particolarmente alti, ma son bastate le Tre Cime di Lavaredo a portare tutti al limite. Sentivo di avere buone gambe, quando è scattato Roglic ovviamente non l’ho seguito, però ho visto che con il mio passo riuscivo a tornare sotto. Poi mi sono girato e ho visto che si era fatto il vuoto. “Una bella giornata an­che per me, finalmente” mi son det­to».
Il giorno dopo sul Monte Lussari è arrivata la conferma: dietro ai confermatissimi Roglic-Thomas-Almeida, c’era lui.
«Il Lussari? Una sa­lita interminabile, in cui devi rimanere concentrato sulla tua pedalata, sulla giusta re­spirazione, e il fatto che fosse in ce­mento non dava grande scorrevolezza alla bici - ha spiegato Caruso -. Sem­bra­va passassero ore tra un cartello e l’altro, tra i -5 e i -4, tra i -4 e -3, ed è stata così fino in cima. Sapevo che le ultime giornate avrebbero detto tanto e così è stato. Sulle Tre Cime avevo buo­ne gambe, avevo av­vertito buone sensazioni, così sono arrivato sul Lussari con molta convinzione e determinazione. Volevo provare a rimanere vicino ad Almeida come tempi, era il mio punto di riferimento, e ci sono riuscito, per qualche momento ho anche avuto il miglior tempo prima che arrivassero i big three. Devo fare i complimenti a Roglic, che ha fat­to un numero dav­vero notevole, ma allo stesso tem­po mi dispiace per Tho­mas, l’ho visto in faccia, la sua delusione era palpabile. Questo è il bello e il brutto del ciclismo».
Nelle parti alte della classifica, bisogna ammetterlo, è stato un Giro d’Italia all’insegna dell’attendismo, un po’ per il percorso che prevedeva gli ostacoli più grandi alla fine, un po’ per le circostanze che sono venute a crearsi, con il ritiro di Evenepoel e squadroni come Ineos Gre­nadiers e Jumbo-Visma contente di do­ver gestire la corsa senza azzardare più di tanto. E quando questo tipo di squadre si mettono in testa a tirare, si sa, di­venta difficile muoversi anche per gli avversari non diretti.
«Sarebbe stato bello provare ad attaccare, dare più spettacolo, ma se davanti ti trovi Aren­sman e De Plus che tirano a 6 w/kg dove vuoi andare? È già tanto se non ti staccano loro. Nel tappone dolomitico quei due hanno fatto un pas­so davvero “bastardo”, se me lo con­sentite. Ma ci sta, fa parte del gio­co, gli squadroni sono questi e li conosciamo, però senz’altro dal punto di vi­sta dello spettacolo qualcosa si perde».
Il bilancio finale è comunque più che positivo, a maggior ragione perché si somma con quello della squadra, che si è portata a casa la Maglia Ciclamino con Jonathan Milan e due tappe, con lo stesso Milan e con Santiago Buitrago, nella giornataa delle Tre Cime.
«Ci tenevo a dimostrare che il secondo posto di due anni fa non è stato un ca­so. Que­sto risultato lo metto sullo stesso livello di quello, anche perché il parterre era di prim’ordine. Davanti a me e dietro di me sono arrivati grandissimi corridori. Un grande grazie lo devo ai tifosi, che ogni giorno mi hanno fatto sentire speciale urlando il mio nome lungo le strade. Se ho tenuto duro è stato soprattutto per loro».
Ora arriverà un periodo di meritato riposo, prima di tornare a concentrarsi sulla seconda parte di stagione: «A luglio andrò in altura per programmare un nuovo picco di forma, che spero pos­sa arrivare alla Vuelta a España. Lì però non farò classifica, punterò piuttosto a una vittoria di tappa».

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